I titolari di reti wi-fi restano a rischio processi

I limiti del “decreto del fare”

La reale portata della “liberalizzazione del wi-fi” è ancora oggetto di discussione. Secondo l’opinione più diffusa tra gli esperti, le norme in proposito contenute nel “decreto del fare”, adottato sabato scorso dal Consiglio dei Ministri, non avrebbero niente di rivoluzionario. Al massimo si tratta di qualche passo in avanti in fatto di semplificazione.

In base a quanto scritto nel comunicato stampa diffuso dal governo, «è prevista la liberalizzazione dell’accesso ad internet, come avviene in molti Paesi europei. Resta però l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità mediante l’identificativo del dispositivo utilizzato. L’offerta ad internet per il pubblico sarà libera e non richiederà più l’identificazione personale dell’utilizzatore». Sembra quindi che chi offre servizi di wi-fi non sia più tenuto – come accadeva quando era in vigore il decreto Pisanu del 2005 – a identificare la persona ma solo il dispositivo che utilizza. Cambia la legge ma non dovrebbe cambiare la situazione di fatto.

Nel 2007 una circolare del ministero dell’Interno aveva specificato che l’identificazione della persona – imposta dal decreto Pisanu – poteva avvenire tramite la sim del telefono o la carta di credito, e che non era quindi necessario esibire un documento di identità. Questo sistema prende piede nei locali pubblici, sui treni e in molti esercizi privati.

Nel 2010 il governo Berlusconi abroga gli articoli del decreto Pisanu che impongono l’identificazione della persona – secondo molti esperti questa era la causa principale del ritardo italiano in fatto di wi-fi – e l’anno successivo il governo Monti evita di prorogare le norme ancora vigenti, attuando di fatto la liberalizzazione. In concreto però i soggetti che offrono servizi di wi-fi al pubblico continuano a chiedere l’identificazione, di solito tramite sim. Da un lato infatti il provvedimento del governo Berlusconi faceva riferimento a un nuovo regolamento, da emanarsi in futuro (e mai emanato), aumentando l’incertezza della situazione; dall’altro rimane intatta l’incertezza giuridica sulla responsabilità del titolare della rete, a fronte di comportamenti illeciti messi in atto da persone non identificabili che vi abbiano avuto accesso.

L’intervento del governo Letta, non eliminando il rischio di un processo per chi offre una rete internet senza fili, rischia di non avere un forte impatto sulla realtà. I fornitori di rete non sono in grado di risalire alla persona solo identificando il dispositivo e per evitare problemi è probabile che continuino a chiedere anche l’identificazione della persona.

Tuttavia dei buoni risultati potrebbero arrivare sul fronte della semplificazione degli adempimenti burocratici che chiunque voglia offrire un servizio di hot-spot ai propri clienti deve affrontare. Viene infatti stabilito che non sia debba chiedere alcuna autorizzazione per offrire l’accesso a internet, a meno che questa non sia l’attività principale dell’impresa (ad esempio gli internet point), e che non sia più necessario – come disponeva decreto Pisanu – farsi installare modem e router solo da imprese “abilitate” ed iscritte in un apposito albo.

Potrebbe essere il via libera a quella diffusione del wi-fi di cui l’Italia ha un forte bisogno, considerato che occupiamo i gradini più bassi nelle classifiche europee. La semplificazione potrebbe incentivare enti pubblici e privati a dotarsi di hot-spot. Ma se l’incertezza giuridica sulla responsabilità di utenti e fornitori di servizi dovesse perdurare, la prossima semplificazione dovrebbe riguardare le procedure di identificazione degli utenti. 

Twitter: @TommasoCanetta

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