Ibrahim Delnevo, il grande Profeta e il Grande fratello

La vicenda dell’italiano convertito all’Islam

C’è qualcosa che forse non è stato ancora indagato nella vicenda di Giuliano Ibrahim Delnevo, il 23enne studente genovese ucciso in Siria per combattere contro Assad in nome dell’Islam. La morte di un italiano che cade con le armi in pugno in una nuova legione straniera musulmana, ci fa tornare nella memoria altri casi di rilievo mediatico mondiale. Ad esempio la storia dell’inglese John Walker arrestato dagli americani in Afghanistan, dopo essersi mostrato completamente trasfigurato: una faccia da buon ragazzo del college prima di partire, una specie di figura ascetica, quasi ieratica e sofferente dopo la cattura.

Giuliano Delnevo, Invece, pare proprio un ragazzo risolto, sia prima che dopo “la cura”. Sorridente e facondo, insomma, sia nella sua incarnazione da tardo-adolescente occidentale che fa pum con la mano al fotografo, sia in quella da combattente della jihad con barba lunga da profeta e piglio da convertito predicatore.

Se per un attimo sgombriamo la mente, e rimuoviamo la notizia depistante che questo giovane ligure era indagato per terrorismo dalla procura della Repubblica di Genova, e che ci sono altre cinque persone iscritte tra gli indagati (alcuni maghrebini e un altro italiano “non genovese”) questo volto non sembra quello di un ragazzo partito per imbarcarsi in una nuova guerra santa, ma quello di uno dei nostri amici che tornano dall’inter-rail o dal viaggio di nozze, e che si sono portati nella valigia il cappellino sciita, o qualche accessorio folcloristico per dimostrare a se stessi e agli altri di essere andato lontano dalla routine. E nemmeno ci basta scoprire che con Giuliano Ibrahim Delnevo sarebbero 45-50 le persone partite dall’Italia per combattere al fianco dei ribelli in Siria e che tra costoro ci sarebbe una donna.

A me colpisce molto di più leggere l’intervista del padre che tratteggia il profilo di un ragazzo che studiava storia, non trovava lavoro, ha perso un concorso da carpentiere, se n’è andato nel 2008 a fare un lavoretto manuale ad Ancona, si è convertito, ha iniziato a pubblicare su internet messaggi in cui parlava di un fantomatico Liguristan e poi è diventato un martire del conflitto di civiltà. Non è quindi un caso alla Walker, o un personaggio simile a quelli raccontati da Hanif Kureishi, un fondamentalista di ritorno che prova odio per il mondo in cui è cresciuto, molto più di suo padre. Sembra piuttosto una ennesima vittima della precarietà italiana.

Non è un caso che il padre Carlo abbia riferito queste sue ultime parole: “Papá, io mi sento realizzato”. Il bisogno di trovare un posto nel mondo più che la guerra contro l’Occidente. Forse dietro questa morte non c’è (solo) un grande profeta, ma anche (forse) un Grande Fratello.  

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