Il “decreto del fare” del governo Letta non fa

Tagliare la spesa per tornare a crescere

Ci risulta strano, trovarci d’accordo con Susanna Camusso. Eppure è difficile dare torto al segretario della CGIL quando sostiene che “finora il governo ha fatto solo annunci”.

Laddove la letargia del governo Letta (il copyright è del Financial Times) risulta particolarmente colpevole, è sull’aumento dell’IVA. Si tratta, è vero, di una misura automatica che l’esecutivo ha ricevuto in eredità dal precedente. Ma forse proprio per questa ragione, scongiurare quell’aumento sarebbe un segnale anche simbolicamente forte, circa il cambio di passo in un frangente pure non periferico dell’azione di governo: le politiche fiscali.

In una intervista al Wall Street Journal, nel febbraio dell’anno scorso Mario Draghi distinse fra due varianti di “consolidamento fiscale”: una centrata sulla riduzione della spesa pubblica, l’altra sull’inasprimento delle imposte. In Italia, l’austerità è stata tutta di questo secondo tipo. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Ciò che è più grave, è che questa strategia non venga messa in discussione.

Oggi persino il paper sulla spending review dell’allora Ministro Giarda, che ne delineava le linee guida, è pressoché introvabile, sepolto tra i link sul sito Internet del governo. Destra e sinistra, che governano assieme, si fanno concorrenza nell’immaginare nuove iniezioni di spesa pubblica, che sarebbero possibili grazie all’allentamento dei vincoli europei. Piuttosto che fare i conti la necessità di ridurre il perimetro dello Stato, la politica si è rifugiata in una sfera onirica. Non si spiegherebbe altrimenti come l’ennesimo provvedimento omnibus che contiene misure ora più condivisibili ora meno si sia guadagnato l’altisonante etichetta di “decreto del fare”.

Le grandi coalizioni faticano a fare le riforme – è cosa nota. Ma questa grande coalizione nasce in circostanze del tutto particolari, si è imposta in condizioni drammatiche, si è proposta come argine a una deriva chavista non inimmaginabile in un Paese che s’impoverisce.
Se il modo in cui destra e sinistra pensano di preservare i propri bacini elettorali di riferimento è vendendo sogni su una nuova età dell’oro della spesa, e aizzando gli italiani contro la perfida Merkel, non andranno lontano. Non c’è vittoria a Risiko che possa risollevare un Paese in asfissia tributaria.

Bloccare l’aumento di un punto dell’IVA non è una grande riforma fiscale: è il minimo sindacale. Se il governo non riesce a tagliare neppure di 2 miliardi la spesa pubblica, come può immaginare di essere credibile, nell’ardua opera di reperimento delle coperture per le altre misure che ha promesso o almeno ventilato? C’è ancora una settimana di tempo. Il governo non la faccia passare invano.

*editoriale pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter