«I problemi sono tanti e le soluzioni impervie». Eppure il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri un’idea se l’è fatta. Per superare il vergognoso sovraffollamento delle carceri italiane «l’amnistia potrebbe essere la soluzione maestra». È uno dei ministri sopravvissuti all’esperienza del governo tecnico. Uno dei pochi esponenti della squadra di Mario Monti confermato al governo. Dal ministero dell’Interno, il premier Enrico Letta l’ha voluta alla Giustizia. Una posizione chiave, delicata. Adatta a chi nell’ultimo anno e mezzo si è conquistata sul campo la fiducia e il rispetto di centrodestra e centrosinistra.
Eppure adesso la complicata situazione carceraria italiana rischia di far esplodere un caso politico. Nelle ultime ore il ministro Cancellieri ha ribadito l’intenzione di «portare quanto prima all’esame del Consiglio dei ministri una serie di misure tese ad alleggerire l’ormai insostenibile sovraffollamento delle strutture». Provvedimenti urgenti, necessari. «Una priorità assoluta per la quale avverto, come cittadina, l’urgenza anche morale di un efficace intervento». Eppure in Parlamento l’ipotesi amnistia sta già sollevando diverse critiche.
Seria e determinata nelle occasioni ufficiali, chi la conosce racconta una donna molto alla mano. Simpatica e sorridente, la battuta sempre pronta. La scorsa estate era stata insistentemente indicata per la successione di Giorgio Napolitano al Quirinale. «Se riesco a finire di fare il ministro dell’Interno sono molto contenta – il suo commento all’epoca – E mi accontento pure».
Anna Maria Cancellieri inizia la carriera direttiva presso il ministero dell’Interno nei primi anni Settanta. Diventando prefetto nel 1993. Anche per questo nei primi mesi al governo i paragoni con Margaret Thatcher si sprecano. Più per convenzione giornalistica che altro. Il primo ministro inglese era conosciuta come la “Lady di ferro”. Mentre da noi i prefetti, chissà perché, da Cesare Mori in poi sono tutti “prefetti di ferro”. Molto più calzante, semmai, il parallelo con la cancelliera tedesca Angela Merkel. A cui la unisce una curiosa somiglianza.
Immancabile collana di perle. Voce impostata, nasale. Particolarissima. In una bella descrizione sul Giornale, qualche mese fa Giancarlo Perna l’ha definita «profonda come il quieto ronfare di un orso». Ironizzando maliziosamente sul ministro: «Bisogna aiutarsi col movimento delle labbra per capire ciò che dice». Il miglior biglietto da visita sono i commenti di chi ha collaborato con lei. Su e giù per l’Italia. Dai primi passi a Milano alle prefetture di Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania e Genova. Per finire a Bologna e Parma, le due città emiliane che ha guidato, da commissario straordinario, prima di essere chiamata al governo da Mario Monti.
Tra i primi a lavorare al suo fianco c’è Achille Serra. Già senatore dell’Udc, in passato prefetto di Roma. «Siamo amici da quarant’anni – racconta – Dai tempi di Milano. E parlando di lei non posso che descrivere un funzionario straordinario. Da ministro dell’Interno è sempre presente. Ma a differenza di altri non appare quasi mai. Non ama farsi pubblicità». Un salto di quasi quarant’anni e si arriva a Parma. L’ultimo incarico prima di arrivare al governo: una città amministrata per poco più di un mese nell’autunno di due anni fa, in seguito al crack della giunta Vignali.
I commenti sono simili. «Vuole sapere la nostra impressione? – racconta un funzionario del Comune – Il ministro è una persona capace ed esperta. Autorevole, certo. Ma molto affabile». Raccontano che nella città ducale ogni mattina il commissario dedicasse un’attenzione quasi maniacale alla rassegna stampa. «Da un’attenta lettura dei giornali – spiega un dirigente – riusciva a fare una radiografia completa alla città». Le conseguenze sono quasi paradossali. «Qui a Parma tanta gente ci dice che non la riconosce più. Dopo averla vista all’opera si aspettavano un ministro molto più attivo. Chissà, forse al Viminale è stata frenata dalla politica».
Un ministro che ha girato l’Italia. Ma, almeno idealmente, è rimasta sempre vicino alla sua città. Roma. La parlata di Anna Maria Cancellieri tradisce leggermente i suoi natali. Abbastanza, comunque, da giustificare un’irriverente macchietta realizzata dalla trasmissione satirica “The show must go off”, condotta un anno fa da Serena Dandini su La7. Un esilarante personaggio al confine tra rugantino e la sora Lella. Da parte sua Anna Maria Cancellieri non fa mistero della sua romanità. Nella conferenza stampa di presentazione al Viminale chiarì subito la sua fede calcistica. «Tifo per la Roma e per Francesco Totti». Un’affermazione inattesa, che le ha fatto guadagnare, qualche giorno più tardi, un altrettanto inatteso regalo. La maglia numero dieci del capitano giallorosso. Ma anche qualche commento poco simpatico da parte del predecessore Roberto Maroni. Quando il Viminale decise di rivedere il progetto della tessera del tifoso, introdotto proprio da Maroni, il segretario del Carroccio si sfogò sulla sua pagina facebook: «Hanno vinto le tifoserie violente e le società come la Roma, di cui è tifosissima la ministra Anna Maria Cancellieri, che mai avevano accettato le regole». Neanche fosse una colpa tifare per i giallorossi.
Ma nel cuore del ministro non c’è solo la Capitale. Le sue radici sono in Libia. Il padre, ingegnere, viene da Tripoli. Dove prima di lui aveva vissuto anche il nonno. La svolta per la famiglia Cancellieri arriva con Gheddafi. Nel 1969 il colonnello conquista il potere, l’anno successivo gli italiani sono costretti a lasciare il Paese. Qualche tempo fa, in una conversazione con l’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia, Anna Maria Cancellieri raccontava così l’incontro con il padre all’aeroporto di Fiumicino: «Un uomo distrutto, improvvisamente invecchiato, quasi malato di dolore e incredulità per aver perso ogni suo avere». Della Libia rimane il ricordo delle vacanze estive. «Le estenuanti nuotate in quel mare bellissimo, le gite a Leptis Magna e Sabratha», come riporta un recente articolo pubblicato da Italiani d’Africa.
Poi c’è Milano, dove Anna Maria Cancellieri ha iniziato il suo lavoro. La città d’adozione. E Bologna, dove Roberto Maroni la invia come commissario straordinario per guidare il capoluogo dopo le dimissioni di Flavio Delbono. Con la città emiliana si crea un legame forte. Un amore corrisposto. L’esperienza del ministro viene apprezzata quasi da tutti. Da Gianfranco Fini e da Romano Prodi. Tanto che alla fine del mandato l’Udc le chiede di candidarsi a sindaco. Lei rifiuta, con educazione. Ma quando nel novembre 2011 sale al Viminale, qualcuno propone di riconoscerle la cittadinanza onoraria. In Consiglio comunale esplode la polemica. I partiti più critici verso il governo Monti si oppongono, ne fanno una battaglia personale. Alla fine, per evitare problemi, è la stessa Cancellieri a rifiutare il riconoscimento. A Giuliano Cazzola, che ne aveva preso pubblicamente le difese, la titolare degli Interni manda una lettera di ringraziamenti. «Una bella lettera – ricorda oggi il deputato – Recentemente avevo anche deciso di incorniciarla, ma non riesco più a trovarla».
E poi la Sicilia. Il marito di Anna Maria Cancellieri è originario di Catania. Il farmacista Nuccio Peluso, conosciuto in Libia durante le vacanze estive. Anche lui figlio di una coppia di italiani rimpatriati. Nel 2007 è lei il prefetto della città etnea quando durante gli scontri che seguono il derby Catania-Palermo muore l’agente di polizia Filippo Raciti. Uno dei momenti più difficili della sua carriera. Dolori, ma anche gioie. A Catania il ministro può dedicarsi attivamente a una delle sue più grandi passioni. La musica lirica. Nel 2009 viene nominata commissario al Teatro Massimo Bellini. Una vicenda macchiata da un’indagine della procura per abuso d’ufficio. Si ipotizzano spese troppo alte per alcune consulenze. Alla fine le accuse si risolvono in un nulla di fatto. L’amore per l’Opera accompagna ancora il ministro. A Bologna la Cancellieri si adopera per il Teatro Comunale, a Parma per il Teatro Regio.
Tanti successi e riconoscimenti. Eppure l’esperienza al governo del ministro Cancellieri ha rischiato di rimanere nella memoria degli italiani per una gaffe. Una dichiarazione forse male interpretata, che per alcuni giorni scatena feroci polemiche. Il 6 febbraio dello scorso anni, durante un’intervista, la titolare del Viminale critica i giovani: «Noi italiani, spiega, siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà». Mario Monti è da poco reduce dalla maldestra uscita sulla “monotonia” del posto fisso. Lei si scusa subito per «una frase infelice che è suonata come una mancanza di rispetto». Ma sono inevitabili gli strascichi che finiscono per coinvolgere anche il figlio Piergiorgio, un passato in Unicredit, poi direttore generale di Fondiaria Sai.
Confermata da Enrico Letta al governo, stavolta al ministero della Giustizia, di certo non le fa difetto il profilo istituzionale. Quasi patriottico. A qualcuno è rimasto impresso il suo intervento alla trasmissione “Che Tempo che fa”. Poo più di un anno fa. Qualche giorno prima, in una manifestazione della Lega Nord a Milano, la Digos aveva deciso di rimuovere una bandiera italiana, per evitare disordini. Intervistata da Fabio Fazio, Anna Maria Cancellieri si lascia andare a un’accorata difesa del Tricolore. «Sicuramente, per la bandiera è meglio rischiare. Difenderla con il proprio corpo. Ma mai toglierla, mai ammainarla. La bandiera va sempre tenuta alta. Sulla bandiera si combatte».