«Il lavoro flessibile? Una perdita di tempo e produttività». Così Marissa Mayer, la donna più potente della Silicon Valley, CEO di Yahoo! dal 2012, diceva la sua riguardo due delle metodologie lavorative in grande ascesa negli Stati Uniti e non solo: l’home working (letteralmente, “lavoro casalingo“), e il telelavoro, in cui il pendolarismo tipico di chi lavora in ufficio avviene in maniera telematica, e cioè mettendo in connessione uffici centrali e lavoratori in remoto attraverso la tecnologia.
Secondo una ricerca pubblicata recentemente da Census Bureau, nel 2010 il 9,4 per cento degli occupati totali negli Stati Uniti ha lavorato a casa almeno un giorno a settimana. Circa 13.4 milioni di persone, un milione in più rispetto al 2005. Evidentemente, la crisi costringe a ripensare e ristrutturare, non solo attraverso i tagli al personale, ma anche mediante l’approccio logistico del lavoro dei dipendenti. Questo avviene molto spesso – specifica il rapporto di Census Bureau – con chi si occupa di management, affari e finanza (25 per cento dei lavoratori totali), o anche con chi si occupa di informatica, ingegneria e scienza (più 70 per cento in dieci anni).
Più della metà delle persone che lavorano da casa, comunque, è composta da liberi professionisti: se l’affitto di un ufficio diventa una spesa insostenibile, la casa ritorna bottega, nel nome del risparmio. I dati più recenti sono quelli di Forrester Research, secondo cui addirittura il 26 per cento degli impiegati svolge il proprio mestiere direttamente in salotto. Allo stesso modo, cresce il numero di chi sceglie di lavorare in un luogo pubblico – internet café, hot spot Wi-Fi, eccetera – piuttosto che in un cubicolo. Nel 2012, il 6 per cento degli intervistati ha dichiarato di lavorare occasionalmente fuori dall’ufficio; a distanza di dodici mesi, la percentuale è salita al 12 per cento. Un incremento notevole.
David Johnson, analista di Forrester Research, ritiene sia (anche) una conseguenza di alcuni miglioramenti tecnologici: connessioni più rapide, cloud più efficienti, nuovi strumenti che permettono una collaborazione efficace anche in remoto. Diverse ricerche, tra cui uno studio pubblicato nel 2013 dalla Stanford University e dall’Università di Pechino, sostengono che il lavoro fuori dall’ufficio non sia solo più economico, ma addirittura renda meglio: stando a casa si ridurrebbero le pause, “incentivate” dall’ambiente collaborativo e interattivo interno alle aziende.
Non mancano, tuttavia, i pareri critici. Secondo quanto rivelato da Census Bureau, infatti, i lavoratori che mescolano lavoro in ufficio e lavoro da casa (di solito, un paio di giorni a settimana), tendono a piazzare l’home working di venerdì e lunedì, per allungare furbescamente il weekend. Non proprio un atteggiamento che Stachanov, nelle profondità di una miniera, avrebbe apprezzato. Inoltre, molti sostengono che la mancanza totale di interazione faccia-a-faccia penalizzi la produttività, a livello qualitativo e quantitativo: è dal confronto diretto con i colleghi che nascono le idee migliori.
Decisamente contraria all’home working anche Keren Finerman, scrittrice americana. Dalle colonne di Fast Company, la Finerman ha puntato il dito contro la difficoltà di lavorare a casa e contemporaneamente gestire una famiglia. Quando i confini tra le due cose diventano confusi, secondo la scrittrice, si rischia di perdere il controllo, penalizzando l’uno o l’altro aspetto della vita – se non entrambi. Per un bambino piccolo, avere un genitore “lavorante” può confonderli, e deluderli: meglio, per lui, avere un genitore presente al cento per cento per meno ore al giorno, che uno in casa con grande frequenza ma non in grado di dedicare loro le necessarie attenzioni.
In soccorso di chi decide di lavorare in casa, comunque, sta arrivando il design di interni. Un numero crescente di aziende sta infatti sviluppando arredamenti in grado di unire praticità e comfort, senza per questo ricreare un’atmosfera da ufficio anche all’interno dell’abitazione. «Questa è l’ultima cosa che le persone vogliono», ha spiegato Karin Gintz, vice presidente di Coalesse, al Wall Street Journal. «Del resto, anche chi si è costruito un vero e proprio ufficio casalingo tende ad usarlo sempre meno. Si preferisce lavorare in un ambiente che trasmetta un’atmosfera accogliente», esaltando le caratteristiche positive dell’essere in casa, anziché uniformandole a quelle ritrovabili in azienda.
Ecco dunque poltrone con caricabatterie incorporato, sedie con ripiani estraibili pensati per appoggiare comodamente laptop e tablet, divani modulari che possono far coesistere il lavoro dei genitori e il gioco dei figli, con tendine in grado di garantire un minimo di privacy. La parola chiave è “toghetherness”, lo stare insieme. Indipendentemente dalle evoluzioni del mobilio, comunque, l’ascesa del lavoro casalingo pare quasi inarrestabile. Non è solo più comodo, ma anche più remunerativo: secondo Census Bureau, infatti, nel 2010 i lavoratori che hanno mescolato casa e ufficio hanno guadagnato circa 30mila dollari in più all’anno, rispetto a chi ha timbrato il cartellino in azienda ogni giorno della settimana. Chissà come mai. Misteri della crisi.