Portineria MilanoLa Lega in crisi: pochi voti ma tanti soldi e poltrone

In arrivo anche la presidenza del Copasir

Tra «tagli dei viveri» e «culi larghi». Tra «danneggiatori» del movimento e «rivoluzionari di nuove battaglie per il Nord». Tra l’ex sindaco di Treviso Giampaolo Gobbo che prende 60 voti alle comunali e il governatore piemontese Roberto Cota che festeggia la conquista di due comuni in Piemonte di circa mille abitanti, rimane una certezza nella Lega Nord alle prese con l’ennesimo scontro tra Roberto Maroni e Umberto Bossi: le poltrone. E la «paghetta» per il Senatùr, che a quanto pare, benché lui smentisca, comparirebbe nel bilancio di previsione 2013: 240mila euro alla voce «spese di funzionamento organi direttivi». 

D’altra parte, se ci sono due cose che non sembrano non mancare in via Bellerio, sede della Lega, in queste ore così turbolente dopo l’intervista del Senatùr a la Repubblica, rilasciata all’eterno nemico «Gad Lerner», sono proprio queste: le «cadreghe» e i «danè». Per un partito alla deriva, dato per morto, di certo un fattore da considerare, accompagnato da un attivo patrimoniale di quasi 40 milioni di euro, come testimonia il bilancio consuntivo del 2012 approvato la scorsa settimana. Certo, il conto economico è in passivo di 15 milioni, ma proprio per questo Maroni si è messo a tagliare, dopo il periodo di vacche grasse, tra Miss Padania, biciclette padane e buchi nei bilanci nelle holding padane.

Sul fronte poltrone, in ordine di tempo, l’ultimo incarico che pioverà sui leghisti potrebbe essere la presidenza del Copasir, Comitato per la Sicurezza della Repubblica Italiana. E non sono mancate le discussioni all’interno tra chi dovesse occupare quel posto che fu nella scorsa legislatura dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. A quanto pare ci andrà Giacomo Stucchi, fedele maroniano, ma in lizza c’era pure Massimo Bitonci, attuale capogruppo al Senato, da sempre oppositore della linea del segretario del Veneto Flavio Tosi. Il Senatùr lo ha detto a il Fatto Quotidiano parlando di Maroni: «Ha trasformato i nostri ideali in burocrazia, non puoi collegare un progetto politico solo alle poltrone». Se almeno prima c’era un po’ folklore, ora, invece, è scomparso.

Mentre il Nord soffre una crisi epocale tra disoccupazione e aziende che chiudono, la Lega che si batteva contro il “generone romano”, contro i boiardi di Stato della Dc per la rivincita contro «Roma ladrona» all’inizio degli anni Novanta, si ritrova in questi giorni di debacle elettorale a occupare una trafila lunghissima di incarichi e a trattare per molti altri. Si passa dalle presidenze delle regioni più importanti del Nord Italia (Veneto, Piemonte e Lombardia) fino alle partecipate lombarde o venete. 

La Lega moribonda, quasi scomparsa dai radar del settentrione e del centro alle ultime elezioni, «morta» come la definiscono sondaggisti o ex leghisti, capace di prendere a Ivrea (24mila abitanti) circa 150 voti, può ancora far sentire il suo peso nelle grandi aziende statali, come in Finmeccanica. O nelle fondazioni bancarie, da Cassamarca fino a Cariverona. C’è un motivo per l’agitazione di questi giorni in casa Bossi a Gemonio: il rischio di perdere Treviso e Brescia ai ballottaggi in questo fine settimana.

Nel capoluogo nel trevigiano corre l’ottuagenario Giancarlo Gentilini, che rappresenta un avamposto storico per il Carroccio. Qui, dal 2003, ha dominato Gobbo, quello che non tradì Bossi quando Fabrizio Comencini si ribellava al potere dei lombardi di via Bellerio. Qui potrebbe iniziare lo sgretolamento della Lega. Il comune di Treviso ha un peso specifico nel tessuto economico-politico del lombardoveneto, tra infrastrutture e capitalismo di relazione: perderlo significherebbe arretrare o comunque perdere una buona dose di «cadreghe». 

Perché alla fine si ritorna sempre a quelle, le poltrone che in questi anni i leghisti hanno occupato e che hanno fatto sempre fatica a lasciare. Il picco è stato nel 2010, dopo la sbornia elettorale in concomitanza con le regionali, ma ha lasciato malumori a distanza di tre anni: in molti, dopo i cattivi risultati elettorali alle ultime politiche, sono stati costretti a passare la mano. Che dire se poi dovesse capitolare Brescia, la Leonessa, altro avamposto leghista, comune strategico per A2a, multiutility dell’energia tra le più grandi d’Europa? Anche lì sarebbero dolori.

Del resto, nello spazio intercorso tra la lettura dell’intervista di Bossi su la Repubblica e la replica di Maroni nel primo pomeriggio, tanti colonnelli hanno detto la loro. Da Luca Zaia, il governatore del Veneto, che lamenta che «queste interviste» fanno «male», fino a Flavio Tosi, il sindaco di Verona visto come la peste dai bossiani di ferro che temono la deriva «bavarese» di una Lega 2.0, passando persino per Sergio Divina, che ha chiesto una pace tra i due.

Il leit motiv è sempre lo stesso da più di un anno. Niente di nuovosotto il sole. Se non che questa Lega che si avvia verso un cupio dissolvi, vicina ai suoi minimi termini, si ritrova forse per la prima volta a fare i conti con lo spettro della scomparsa. Sono finiti i tempi in cui Bossi organizzava gare di Miss Padania, biciclette padane, corse padane o investimenti all’estero come il villaggio in Croazia. Di fondi, dopo la stretta del governo Letta sul finanziamento ai partiti, ce ne saranno sempre di meno. E Maroni vuole tagliare. 

La paghetta per il Senatùr sarebbe assicurata, anche se in parte ridimensionata. Come detto, comparirebbe nel bilancio preventivo del 2013 alla voce «spese di funzionamento organi direttivi» pari a 240mila euro. Si attende invece di capire qualcosa di più rispetto ai finanziamenti per le associazioni, tra cui la Scuola Bosina della moglie Manuela Marrone. Ma c’è chi fa notare il silenzio di questi giorni del potente Giancarlo Giorgetti, uomo di collegamento tra Bossi e Maroni, ex saggio di Giorgio Napolitano, già uomo delle trattative per la spartizione dei posti nelle aziende statali quando al ministero dell’Economia c’era Giulio Tremonti. C’è chi scommette che alla fine sarà lui il prossimo segretario federale al posto di Maroni, in accoppiata con Zaia, per far contento Bossi e pure Bobo. Del resto fare la pace conviene a tutti, soprattutto a chi la «cadrega» in questi anni l’ha persa, dopo le ultime batoste elettorali che non sono ancora finite…

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