Dare un incentivo per l’assunzione dei non laureati? A questo tema Massimo Gramellini su La Stampa ha dedicato un suo Buongiorno che è talmente surreale da far sperare che sia inventato: il corsivista del quotidiano sabaudo riferisce la notizia parossistica di un padre che telefona alla professoressa di suo figlio per chiederle di farlo bocciare alla maturità. Il motivo? In questo modo – nel racconto di Gramellini – il ragazzo potrebbe essere assunto dalla pizzeria in cui già lavora (in nero). Su questo provvedimento del pacchetto lavoro appena varato dal governo Letta, è lecito sollevare molti dubbi, e per diversi motivi. Il primo di principio: dopo tanto parlare di merito, ha senso dare il messaggio simbolico che non studiare può essere utile per venire assunti? Ovviamente no. Il secondo motivo, invece, è molto pragmatico. Fra scoraggiati e mai occupati, le due categorie dominanti (se non altro per visibilità e qualità) nell’esercito dei disoccupati, sono gli ultra quarantenni espulsi dal mercato per effetto della crisi e gli iperscolarizzati giovani che non riescono a entrarci con un primo contratto. Come si fa a creare 200mila posti di lavoro dando aiuti alle imprese che occupano solo la parte più debole del mercato del lavoro? E cosa accade a una impresa che aveva intenzione di stabilizzare un suo precario scolarizzato, e adesso si trova un incentivo per un altro tipo di profilo? E soprattutto: perché le imprese dovrebbero avere tutta questa voglia di assumere se dovranno tirare fuori loro i due miliardi di anticipo Irap in più, prima dell’estate? E che succede se l’altra parte grava sugli autonomi? Dice Giuseppe Bortolussi – presidente della Cgia di Mestre – che «alle imprese si offre il cerotto, ma poi si chiede loro di pagarlo da sé». È un esempio folgorante e molto appropriato: si chiede quindi alle imprese di anticipare dei soldi che non hanno ancora ricevuto, e che potrebbero non avere, o avere in misura ridotta dato il tempo di crisi. Il governo continua a non scegliere una strategia, ma chiede a tutti quelli che producono di pagare di più a giugno in vista di tempi migliori. È un grande errore: per chiedere sacrifici duri nel presente serve prima di tutto un’idea di futuro.
La maturità non vale una pizza
dal Buongiorno di Massimo Gramellini su La Stampa, 27 giugno 2013
Insegna italiano in un istituto tecnico della periferia romana ed è commissaria interna agli esami di maturità. Da quando ha ricevuto quella telefonata, le si è rovesciato il mondo. «Professoressa? Sono il padre di Andrea». Uno dei suoi maturandi migliori. Un adolescente caparbio che per tutto l’anno si è diviso fra lo studio e il lavoro in nero ai tavoli di una pizzeria. «Professoressa, la chiamo per la maturità di mio figlio…». «Non si preoccupi, Andrea la supererà senza problemi». «È proprio questo il punto… Ho bisogno che lei me lo bocci». La prof ha abbozzato un sorriso. In tanti anni di onorata carriera aveva dovuto fronteggiare ogni genere di richieste da parte dei genitori. Ma un padre che ti chiama a casa per chiederti di bocciare suo figlio non le era mai capitato. Si trattava chiaramente di una battuta… «Non sto scherzando, professoressa. La pizzeria ha detto ad Andrea che può assumerlo in pianta stabile grazie alla nuova legge sul lavoro: però le agevolazioni valgono solo per i ragazzi senza diploma». La prof ha deglutito: «Lei mi sta chiedendo…» «… di aiutare mio figlio. Il diploma potrà sempre prenderlo l’anno prossimo». Così la prof ha cominciato a covare in solitudine il suo dubbio amletico. Fare il proprio dovere e promuovere Andrea, trasformandolo in un disoccupato? O bocciare un ragazzo meritevole per consentirgli di ottenere il posto? Consapevole che in questo caso boccerebbe anche se stessa, accettando il principio che l’insegnamento a cui ha dedicato la vita non rappresenta più un vantaggio, ma un handicap? Ci sarebbe da diventare pazzi, se non lo fossimo già.
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