L’Europa delle banche unite è vicina ma vulnerabile

In atto i colloqui per il Srm

Gli investitori internazionali dovranno abituarsi a un nuovo acronimo coniato nell’eurozona. Dopo aver sentito parlare di Efsf, Esm, Ssm, Ewg, Eba, Smp e Omt, dovranno imparare pure Srm, cioè il Single resolution mechanism, o meccanismo di risoluzione bancaria. Traduzione: come gestire le criticità di una banca in difficoltà a livello europeo al fine di evitare di pagare la ricapitalizzazione, o la ristrutturazione, dell’istituto in questione coi soldi dei contribuenti. È proprio di questo sta discutendo l’Eurogruppo che si riunisce oggi in Lussemburgo. Un piccolo – si fa per dire, date le difficoltà politiche – passo verso la piena unione bancaria, considerata cruciale per la fine della crisi dell’eurozona.

Nei corridoi della Banca centrale europea si parla da tempo di questo meccanismo. L’obiettivo è quello di rompere il circolo vizioso fra banche e Stati. Benoît Cœuré, membro del board esecutivo della Bce, ha spiegato quasi un mese fa i benefici del Srm di fronte ai banchieri (e avvocati d’affari) dell’International capital market association (Icma). Per garantire un pieno ritorno della fiducia fra gli investitori, ha detto Cœuré, è bene che l’Europa adotti quanto prima questo strumento di risoluzione bancaria, uno dei tre pilastri fondamentali dell’unione bancaria insieme al Single supervisory mechanism (Ssm), la supervisione centralizzata data in seno alla Bce, e a un fondo comune di protezione dei depositi bancari, specie dopo quanto accaduto con Cipro nello scorso marzo. Il concetto è chiaro: se una banca può ancora andare avanti, la si aiuta; in caso contrario, la si ristruttura.

Un vademecum per la risoluzione bancaria nell’area euro è stato presentato un anno fa, il 6 giugno 2012. Merito del commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier, e di Olli Rehn. I due funzionari Ue hanno presentato una proposta di nuova direttiva comunitaria che ha posto le basi per le discussioni di queste settimane. Quattro sono le vie per le banche sofferenti. Quella più semplice è la fusione fra una banca sana e una in difficoltà, nel caso il sistema finanziario lo permetta. Poi c’è la banca-ponte, uno strumento che prevede la nascita di un veicolo intermedio con in pancia le attività migliori dell’istituto in difficoltà, che poi saranno cedute a terzi. Tutto il resto, ovvero le attività deteriorate, saranno invece liquidate tramite attraverso la legislazione vigente. Simile è la terza via, ovvero la creazione di una bad bank dentro cui inserire tutti gli asset inesigibili. La nuova entità sarà scorporata e la vecchia banca potrà continuare la sua normale attività. Infine c’è il bail-in, lo spauracchio di depositanti, obbligazionisti e azionisti di una banca in difficoltà. Teorizzato nel 2010 dall’Association for financial markets in Europe (Afme), testato con le banche cipriote nella scorsa primavera, il salvataggio interno è destinato a diventare la normalità nell’eurozona.

Il problema, tuttavia, è un altro. Nel mondo finanziario ancora scosso dal crollo di Lehman Brothers, le banche sono sicuramente uno degli anelli più deboli. Complice la loro significativa interconnessione e complici i rischi assunti da buona parte di questo settore, la vulnerabilità complessiva è ancora elevata. E molto probabilmente, nonostante l’enorme mole di liquidità presente sui mercati, anche in Europa saranno necessarie future ricapitalizzazioni.

Ecco quindi dove nasce l’idea del Single resolution mechanism. Secondo le indiscrezioni, sarà fornito allo European stability mechanism (Esm), il fondo salva-Stati permanente presente nell’eurozona, il potere di ricapitalizzazione diretta delle banche in difficoltà. A dirlo apertamente è stato ieri il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn, che non ha dubbi sull’approvazione di questo punto da parte dell’Eurogruppo. Il tutto però solo se esistono date condizioni. La prima, forse la più banale, è la solvibilità dell’istituto di credito in questione.

La mossa dell’Ue è chiara. Si vuole evitare di sprecare soldi per chi non li merita. «Troppo denaro è stato speso negli ultimi cinque anni senza ottenere gli obiettivi sperati», spiega a Linkiesta un funzionario della DG Ecfin della Commissione europea. «Quello che si vuole evitare è la presenza di banche zombie, piene di asset illiquidi e che possono rappresentare una seria minaccia alla stabilità dell’area euro», dice. È anche per questo che ogni risoluzione e ogni ricapitalizzazione diretta, una volta che saranno a regime tutti i meccanismi, dovrà essere valutata in modo approfondito. Secondo una delle bozze che circolavano prima dell’Eurogruppo, si vuole introdurre un tetto massimo compreso fra 50 e 70 miliardi di dollari per le ricapitalizzazioni a cura dello Esm, con un target minimo di capitale tier 1 del 4,5% per singola banca richiedente.

A essere più il più cauto di tutti è stato il ministro tedesco della Finanze Wolfgang Schäuble. Fin dall’inizio della settimana ha accolto in modo positivo l’idea di dotare lo Esm del potere di ricapitalizzazione diretta degli istituti di credito, ma si è sempre detto contrario a un utilizzo sconsiderato di questa opportunità. Si deve valutare caso per caso, dice Schäuble. E ha ragione. Se agli investitori, così come ai banchieri, fosse chiara la presenza di un’authority a livello comunitario di erogare capitali ogniqualvolta che un istituto di credito è in sofferenza, non ci sarebbe alcuna riduzione dei rischi. Si creerebbe infatti una spirale fatta di banche insolventi, azzardo morale e istituzioni europee immobili di fronte a questo abominio finanziario. Proprio ciò che vogliono evitare Francia e Germania, che inoltre non hanno intenzione di cedere più sovranità di quanta non ne abbiano già ceduta all’Ue per il Ssm. La battaglia per la nuova Europa bancaria continua.

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