Le proteste dei cittadini e le dure reazioni delle forze dell’ordine che hanno caratterizzato le ultime settimane a Istanbul, hanno sicuramente suscitato in Angela Merkel sincero allarme per una possibile deriva autoritaria della Turchia. Ma la rapidità con la quale la Kanzlerin bloccato un piano per la riapertura dei colloqui di adesione della Turchi all’Ue, ha fatto sorgere al tempo stesso il dubbio che Merkel avesse colto anche la palla al balzo. Che Merkel non sia mai stata favorevole all’ingresso di Ankara è cosa nota e perfettamente in linea con il suo partito, la Cdu. Non in linea con il partito è invece un’inversione a «U» che Merkel sembra aver compiuto nei confronti dell’Unione Europea.
Così almeno rileva il settimanale Spiegel in edicola. Ancora due anni fa la Cdu, il partito cristiano-democratico che Merkel presiede ormai da 17 anni, votava al congresso di Lipsia a favore di maggiori poteri a Bruxelles, in un processo di lenta ma decisa integrazione. Oggi le cose non stanno più così. Almeno per Merkel. La Kanzlerin non vuole cedere il suo potere (e quello dei colleghi primi ministri, e quello dei capi di stato) a Bruxelles, che a suo avviso ne ha già troppo di potere. Soprattutto la Commissione e il suo presidente José Manuel Barroso, che pare l’abbia parecchio delusa. E sì che lui la presidenza della Commissione la deve proprio a Merkel, che l’aveva appoggiato. Barroso deve esserselo dimenticato se no come si spiega che è sempre prodigo a dare una mano ai paesi in crisi dell’eurozona, anziché ammonirli anche lui a maggior rigore, serietà e spirito di sacrificio? Anche per questo, stando sempre a quanto riportava Spiegel, Merkel a un incontro del gruppo dei popolari europei tenutosi settimana scorsa a Vienna, non si è mostrata affatto interessata alla nomina di un candidato di punta e di un programma unitario del popolari europei per l’elezione del nuovo Parlamento europeo nel 2014.
Come detto, questa linea «anti-integrazione» va contro la politica europea da sempre perseguita dalla Cdu. Ma a Merkel poco importa di compiere una frattura, di andare contro al sogno di una vita del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble («l’ultimo grande europeista» come qualcuno lo definisce), il quale ha sempre lavorato, un tempo anche fianco a fianco con Helmut Kohl, per porre le basi di questa Europa unita; e tanto meno interessano a Merkel le visioni dell’attuale ministro per il Lavoro e suo vice alla guida del partito, Ursula von der Leyen, che si immagina già l’Europa federata.
Se l’ex cancelliere Helmut Schmidt non fosse un socialdemocratico, probabile che Merkel riprenderebbe la sua frase: «Chi ha visioni, vada a farsi curare». Con queste premesse, c’è poco da attendersi dal Consiglio Europeo al via giovedì 27 giugno. A dire il vero, il presidente Herman Van Rompuy avrebbe dovuto presentare un documento guida sullo sviluppo futuro dell’Europa, e in primo luogo delle sue istituzioni. Peccato che già in gennaio Merkel e il capo di Stato francese François Hollande gli hanno fatto avere un contro-progetto, che prevede giusto l’istituzione di un presidente a tempo pieno dell’eurogruppo. Punto e basta.
Ma Merkel dell’Europa cosa pensa e cosa le importa veramente? Una domanda alla quale ha tentato di rispondere il giornalista Stefan Kornelius nel suo libro da poco uscito «Angela Merkel – Die Kanzlerin und ihre Welt» («Angela Merkel – La cancelliera e il suo mondo»; ed. Hoffmann und Campe). Secondo Kornelius, non è vero che Merkel non abbia una sua idea di «europea». Ce l’ha, ma è pragmatica, fattiva, dunque poco eccitante, si basa, come tutta la politica della Kanzlerin, sui piccoli passi. L’ Europa di Merkel poggia su quattro pilastri: finanza, fisco, economia e maggior legittimazione democratica.
Insomma l’obiettivo di Merkel è, come ha ripetutamente sottolineato, quella di una «Stabilitätsunion», un’unione della stabilità economica. Troppo asciutta, come visione? Sicuramente, anche se, come spiega Kornelius, è una visione che ha le sue radici, non ultimo nella biografia stessa di Angela Merkel, cresciuta nella Ddr. Merkel è infatti convinta, che con la caduta del Muro, il mondo occidentale abbia vinto il confronto tra i due sistemi economici – capitalismo vs. economia pianificata – ma non ancora quello dei diversi sistemi di governo, cioè democrazia vs. governi più autoritari. Ed è solo la stabilità economica che può garantire anche la stabilità democratica, secondo il Merkel pensiero.
È vero, si tratta di una visione piuttosto asciutta, appiattita sull’ «economia». Chi critica Merkel per questo, chi oggi invoca più integrazione, più potere a Bruxelles, e alle altre istituzioni europee (magari sperando così di ottenere prima gli agognati eurobond) dovrebbe ricordarsi che, fino a non troppo tempo fa (cioè fino al 2008, prima dello scoppio delle crisi economica mondiale) l’Europa ridotta a mercato unico e basta, piaceva ai più, e nessuno voleva maggior integrazione.
E infine bisognerebbe ponderare anche un altro aspetto, spesso preso poco in considerazione. Qualche giorno fa l’ambasciatore Sergio Romano e il presidente di Unicredit, nonché manager tra i più stimati in Germania, Giuseppe Vita discutevano, nella sede milanese dell’Istituto di studi internazionali Ispi di «Italia e Germania: A cosa serve l’Europa?». Ad organizzare il confronto è stato il centro studi italo-tedesco Villa Vigoni nell’ambito del ciclo «Vigoni Lecture». Al centro del dibattito ovviamente la Germania, «l’egemone riluttante», come definiva il paese un paio di settimane fa il settimanale britannico Economist.
Il fatto è che, mentre il titolo del dibattito metteva sullo stesso piano i due paesi, l’Economist, così come le capitali degli stati membri dell’Ue, in particolare quelle mediterranee, si mettono in una sorta di posizione di vassallaggio nei confronti di Berlino, salvo poi contestare la guida, riluttante, dei tedeschi. Così Sergio Romano accusava la Corte costituzionale di Karlsruhe di voler addirittura interferire nelle questioni della Bce; Giuseppe Vita dal canto suo ricordava un intervento del ministro degli Esteri polacco, Radislaw Sikorski a Berlino. Nel corso dello stesso affermava che quello che la Polonia temeva di più era una Germania inerte. Una frase storica, per un paese che dalla Germania ha sempre e solo avuto dolore e traumi.
Ma viene da chiedersi, perché tutta l’Europa è eternamente in attesa della Germania anziché, progettare insieme alla Germania questa l’unione, Come si diceva solo una decina di anni fa? «La Germania è il grande ammalato d’Europa, ma quando riparte il suo motore allora riparte anche il resto del continente». Berlino può apparire a volte fastidiosamente perentoria nel suo modo di vedere il mondo. La Germania non avrà una visione europea, ma gli altri paese, Italia, Francia, Spagna, Grecia e via dicendo, per restare solo nella parte mediterranea, ce l’hanno?