Entrare nella top ten degli incassi con il capolavoro restaurato di Ernst Lubitsch To be or not to be, commedia anti-nazista girata in piena guerra mondiale (anno 1942), per di più ottenendo al botteghino una media copia di 3.759 euro, seconda solo a quella di un blockbuster come Una notte da leoni 3, è una stupefacente realizzazione. Oltre che un commovente segno che il cinema quand’è grande, suscita sempre interesse. Del risultato si dice «sorpreso» Vieri Razzini, critico cinematografico di vaglia e direttore artistico della Teodora Film autrice del miracolo: «Sorpreso, anche se speravo molto nel successo dell’operazione, perché ritengo che il pubblico abbia voglia di vedere cose diverse, che i comportamenti culturali delle persone dipendono da quello che gli si offre. Da decenni non credo che ci si debba attestare su quella idea per cui ’la gente vuole la merda’, credo che più correttamente che la prenda se non gli si dà altro. Il pubblico non ha il potere di vedere quello che vuole, al massimo può scegliere tra quello che c’è».
Raramente capita che alla fine di una proiezione scatti l’applauso. Con To be or not to be succede spesso…
Sì, ce lo hanno segnalato parecchie volte. È un film travolgente. E peraltro sta scattando anche il passaparola, abbiamo richieste da diverse parti d’Italia. Purtroppo il fatto che i nostri cinema siano solo in piccola parte digitalizzati complica un po’ le cose. Ma ci stiamo attrezzando.
L’operazione Lubitsch porta in sala l’esperienza sui vecchi classici che la Teodora da tempo propone in dvd. Come sta andando?
Come tutti nell’ultimo paio d’anni abbiamo subìto purtroppo un calo vistoso, in linea con il comparto. Ma dopotutto se chiunque può scaricare o mettere film in internet, è il minimo che ci si deve aspettare. Lo Stato non sta facendo praticamente nulla, e purtroppo anche le associazioni di categoria, a parte qualche generica affermazione di principio, non fanno granché. Ma il problema è più profondo.
Che intende?
Faccio un esempio. Qualche tempo fa abbiamo ripubblicato La regola del gioco di Jean Renoir: uno dei dieci film capitali della storia del cinema, praticamente scomparso e invisibile in Italia. Si fosse trattato di un classico della letteratura finalmente restituito al pubblico, sui giornali ci sarebbe stato almeno un minimo di notizia. Invece, zero o quasi. Purtroppo la cultura nei giornali e in generale nel sistema della comunicazione è incredibilmente conservatrice. Sono convinto che dopotutto il cinema sia da molti addetti considerato in subordine, una specie di arte minore, sempre per quella dannata idea che c’è cultura alta e cultura bassa, che il doloroso è più nobile dell’allegro, e così via. In questo contesto, è normale che i cervelli si atrofizzino, ma per fortuna questo accade piano piano, non di colpo, per cui c’è sempre qualche probabilità di recupero.
Ha letto della Sacher di Nanni Moretti che sospende l’attività distributiva.
Sì e ne sono addolorato. Indipendentemente dai gusti personali, il lavoro della Sacher è prezioso, e ci deve essere. Spero che possa essere riconsiderata la decisione.
Cosa pensa in generale del cinema italiano?
Purtroppo non sono contento. Il vero grande talento che abbiamo è Matteo Garrone, quello che ci manca è un cinema medio di valore: il nostro è un disastro. Occorrerebbe fare qualche sforzo in più per raccontare la realtà, andando oltre le commediacce che ormai sforniamo con regolarità e che non fanno nemmeno ridere. Né dall’altra parte mi convincono film come “Diaz” di Daniele Vicari, un film secondo me totalmente sbagliato.
Si sta parlando molto della Grande bellezza di Paolo Sorrentino.
Devo confessare che non l’ho visto.
Che risposta avete avuto dai film italiani distribuiti recentemente?
Con la Teodora abbiamo per fortuna potuto contare su due film dagli esiti pregevoli come Il rosso e il blu di Giuseppe Piccioni e Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, entrambi peraltro con Margherita Buy, attrice di primissimo piano, una di quelle che per fortuna non contravviene ad alcune regole fondamentali del cinema.
Quali, per esempio?
Parlando di attori, la prima e assoluta regola è che in un film non ci devono essere visi antipatici se non nelle parti degli antipatici. Perché, veda, ci sono delle cose che il cinema proprio non tollera: non puoi permetterti di non avere un bello sguardo. Eppure, quanti non lo vogliono capire…
Sui mercati internazionali il nostro cinema come va?
Purtroppo non siamo più appetibili. Siamo un po’ come tedeschi e spagnoli: qualche singolo autore viene seguito, del resto interessa poco. Oggi in Europa l’unica vera cinematografia forte è quella francese, che produce 230 film facendo una massa critica che convoglia tutto. Intendiamoci, non è né deve essere tutto grandioso: su oltre duecento film, 150-180 saranno boiate, 40 buoni, e a salire ti ritrovi con almeno quei 2 o 3 capolavori all’anno. Oltre a un’industria che vive e tira.
Tra le emergenti, c’è qualche cinematografia che la colpisce particolarmente?
Sono ogni volta stupito da quella rumena. Non la conosco bene, però girando nei festival si resta impressionati dalle ottime opere che sono capaci di sfornare. Dev’esserci una scuola o qualche insegnamento che ha creato una generazione nuova che ormai da un decennio sta dando frutti eccezionali. Sa, a volte basta un maestro, anche poco noto, capace di far sbocciare un talento o un gruppo, che altrimenti si sarebbe perso… Cristian Mungiu è ormai uno dei maggiori registi europei, dopo la Palma d’Oro 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e i premi a Cannes 2012 con Oltre le colline, che però a parer mio soffre perfino di un eccesso di bravura registica. Noi da giovedì 13 distribuiamo Il caso Kerenes di Călin Peter Netzer, che ha vinto l’ultimo Festival di Berlino. Un film secondo me eccezionale, con uno dei personaggi di madre più belli e intensi che si siano visti al cinema di recente. Ma sono rimasto anche molto colpito da un film a cui sul mercato era stato dato il titolo Quando vuoi fischiare, fischia: mi sarebbe piaciuto distribuirlo, ma non ci sono state le condizioni giuste per prenderlo, purtroppo.
Per chiudere, da distributore, quali film dell’ultima stagione che non erano nel suo carnet le sarebbe piaciuto distribuire?
Scelgo tre film che non sono capolavori, ma che per diversi motivi mi hanno colpito. Tre film americani. Il primo è il debutto alla regia di Dustin Hoffman, Quartet, un film di grande intelligenza registica perché Hoffman ha giustamente capito che la forza del film erano i suoi attori e così gli ha dato campo libero, senza vezzi di tipo autoriale. Poi direi Il lato positivo di David O. Russell, un film pieno di difetti specie nella parte finale, ma che resta impresso nella mente del pubblico. Infine The Master, di Paul Thomas Anderson, il capolavoro mancato di un grandissimo artista, uno capace, anche non centrando in pieno l’obiettivo, di fare cinema al massimo livello.