È vero, di mezzo ci sono gli occhi azzurri e il candore blindato di Beatrice Borromeo, una giornalista che con il suo sorriso angelico e la sua faccetta acqua e vetriolo potrebbe incantare e sbranare un tigre. La conosco bene perché è stata mia collega, e quindi so quanto è brava, e che è capace di tutto. È vero che mi ricordo una meravigliosa intervista estorta da Beatrice in mezzo a una strada, ad un Augusto Minzolini quasi sconcertato, aperta da una domanda che a chiunque altro sarebbe costata qualche ossicino sinusoidale: «Scusi Minzolini, cosa si prova ad aver mentito agli italiani?». È vero tutto ma, detto questo, chi mai avrebbe potuto immaginare che un uomo scaltro come Flavio Briatore sarebbe andato a dichiarare in una intervista, e per di più a Il Fatto Quotidiano: «Per votare Renzi potrei iscrivermi al Pd»?. Non c’è che una risposta: nessuno.
Le interviste sono un genere letterario: una strana miscela osmotica fra chi parla e chi racconta e, dice Giampaolo Pansa, il novanta per cento della responsabilità di quello che si legge è comunque di chi le scrive. Pansa sostiene anche che le interviste sono editoriali rubati, idee prese in prestito gratis da uno che per firmare si potrebbe far pagare. Tutto vero. Ma della portata di questo strappo e di quel titolo di stamattina doveva essere consapevole anche Briatore, che infatti, dopo questa affermazione dirompente aggiungeva due postille interessanti. La prima, esplicitando la sua consapevolezza del peso politico del proprio endorsement: «Sa che le dico? Che così faccio un favore a Bersani». La seconda, quando si concedeva una professione di stima che deve essere riportata in questi termini letterali: «Renzi è un open minded che ascolta e recepisce. Quando siamo andati a lunch insieme non abbiamo parlato solo di campi da golf, ma anche di come incentivare il turismo».
Qui il Briatore che si affida alla Borromeo, assomiglia terribilmente al Briatore sfidato da Crozza. Quello che nel finto spot di un talent-parodia se la prendeva con il povero Nazareno trattandolo come un bamboccione fallito: «A 33 anni non hai ancora un lavoro e chiedi anche l’aiuto di papà. Gesù, sei fuori!». Per un evidente cortocircuito di simboli, nello stesso momento si toccano il Briatore della Borromeo, che ovviamente conosce bene il Briatore di Crozza, e il Briatore vero, che evidentemente assomiglia terribilmente ai primi due. Si scambiano la pelle il Briatore finto che piazza due anglicismi ogni tre parole, e quello vero, che piazza anche lui due anglicismi ogni tre parole , e arriva a dire “lunch” invece che pranzo. Nel giorno in cui Ingroia si dimette da magistrato, e piange intervistato su Repubblica dalla Milella, con lo stesso tono piagnone dell’Ingroia parodiato da Crozza («Sono stato punito per le indagini sulla mafia!») c’è da preoccuparsi, perché questo significa due cose.
La prima è che certi campioni dei media sono terribilmente simili alle loro parodie, non perché siano forti, ma perché sono deboli. La seconda è che sono così deboli, proprio perché finiscono con il perdere infilzati dalle loro parodie. Enrico Berlinguer era imitato benissimo da quel genio dimenticato che è Alighiero Noschese. Ma nessuno potrebbe mai immaginare che lo slogan più famoso di Berlinguer venisse preso in prestito da Noschese. Mentre invece nessuno più ricorda, perché non gli sembra strano, che “Smacchiare il giaguaro” non l’ha inventato Bersani, ma sempre il solito Crozza. Ecco perché oggi il Briatore della Borromeo, che assomiglia a quello di Crozza, ci spiega che era molto meglio prima, quando i personaggi autentici si arrabbiavano per le parodie, di oggi, che i leader precari si divertono per le imitazioni, ma vengono divorati dai loro cloni. Caro Briatore, caro Bersani, caro Ingroia: purtroppo siete fuori…!