Quello che è successo martedì 11 giugno sull’aborto a Montecitorio (e dentro il Pd) ha dell’incredibile. Nel voto sulle nove mozioni, che riguardavano la legge 194, infatti, si è arrivati ad un paradosso: su una mozione di Sel (probabilmente la più importante) con cui si chiedeva di limitare negli ospedali il numero di obiettori che si rifiutano di praticare l’aborto (impedendo di fatto l’attuazione della legge in molte realtà), M5s e Pdl hanno votato a favore e il Pd invece si è astenuto. Un voto incredibile perché ribalta tutte le geografie politiche immaginate fino ad oggi.
È un voto che – per fortuna – ha visto esprimersi molti dissidenti nelle fila del partito di Guglielmo Epifani, da Anna Rossomando a Roberta Agostini, a Ivan Scalfarotto a tante deputate che non hanno accolto l’indicazione del capogruppo Speranza (evidentemente preoccupato di evitare una divisione). Ma anche un voto che stupisce, visto che su questo documento un ministro di centrodestra come Beatrice Lorenzin aveva dato il suo nulla osta.
Un altro paradosso è questo, e riguarda i media. Tutti i giornali oggi hanno messo in ombra questo voto nel Pd, ma hanno dato grande risalto alla frattura che si è verificata, nello stesso dibattito, tra le due anime di Scelta Civica. il partito di Monti, infatti, si è spaccato in due, producendo due testi di orientamento opposto e addirittura contrapposto: una mozione di segno progressista e laico presentata da Irene Tinagli e una più conservatrice proposta da Paola Binetti. Ma il fatto sorprendente (e politicamente significativo) è che il testo proposto dal capogruppo di Sel Gennaro Migliore, al contrario degli altri, è passato, con una maggioranza stranissima (visto che al momento del voto erano presenti la metà dei deputati): 230 voti favorevoli (raccolti dai tre partiti che abbiamo detto) e 254 astenuti. Mentre l’elemento che deve far riflettere è che ancora una volta nel Pd, la difficile compatibilità tra l’anima laica e quella cattolica, ha prodotto una non-scelta, un surreale invito ad astenersi.
Spiega Anna Rossomando, del Pd: «La mia posizione su questi temi è, da sempre, quella di garantire il diritto delle donne a poter abortire. Non avrei potuto votare – aggiunge la Rossomando – contro un testo che non solo condividevo, ma toccava un punto importante di tutte le mie battaglie, la necessità di tutelare le donne dal veto dei medici obiettori nelle strutture pubbliche. Fra l’altro – osserva la deputata del Pd – Sel aveva accettato di ammorbidire il testo originario che fissava la soglia massima di obiettori al 30%». Aggiunge Scalfarotto: «Non credo di aver violato la disciplina di partito perché qui siamo visibilmente di fronte ad un caso di coscienza, e soprattutto di fronte ad un voto che era considerato plausibile anche dal ministro. Io non sono tiratore. Ma sono molto franco».
Aggiunge Giorgio Airaudo, deputato di Sel: «La mozione era di puro buonsenso, e chiedeva di prevedere che la non-obiezione fosse indispensabile per i nuovi assunti o i trasferiti in altri ospedali, e che i medici di famiglia debbano comunicare ai rispettivi ordini l’eventuale intenzione di esercitare l’obiezione di coscienza. Ho grande rispetto per il Pd – conclude il deputato – ma credo che su questi temi civili esista in parlamento una maggioranza progressista che può esprimersi». La vera domanda è cosa potrebbe accadere se in questo parlamento tutte le forze che in modo trasversale rispetto ai partiti esprimono una maggioranza progressista, iniziassero a legificare davvero. E soprattutto cosa accadrebbe se su questi temi la maggioranza del Pd la smettesse di essere indecisa a tutto.