Perché sta finendo la calma piatta dello spread

Il ritorno della volatilità

«La volatilità è tornata». Più che ogni altro commento da parte dei politici europei, è quello di un trader del Crédit Agricole il più significativo della giornata. Il riferimento è al mercato obbligazionario, ma si può estendere per osmosi anche all’azionario. A essere sotto pressione, Italia e Spagna. Come ai vecchi tempi. Come ai tempi dello spread coi Bund tedeschi a oltre 500 punti base. Fuoco di paglia o no? È presto per dare un giudizio con certezza. Quello che è sicuro è che questa volta è differente. Oltre ai problemi, ancora in larga parte irrisolti, dell’eurozona, a preoccupare ci sono Federal Reserve e Cina.

L’Italia si era ormai abituata a vivere con uno spread basso. Eppure, il differenziale di rendimento fra i Btp italiani con maturity a dieci anni e i Bund di pari entità ogni tanto ha un sussulto. Come negli ultimi giorni. Erano circa tre mesi che lo spread fra Btp e Bund non tornava oltre quota 300 punti base. Ma il peggio è che il tasso dei bond decennali italiani è tornato oltre quota 4,90%, con un incremento di 15 punti base rispetto alla seduta di ieri, secondo i dati diramati da MTS. Situazione ancora peggiore sul mercato obbligazionario primario, dove oggi il Tesoro è andato in asta e ha collocato i propri titoli di Stato a un rendimento ben maggiore rispetto alle ultime occasioni. Tre le emissioni: Ctz a 24 mesi, Btp a 5 anni, Btp a 15 anni. Dei primi sono stati collocati 3,5 miliardi di euro a un rendimento del 2,403%, in forte rialzo rispetto all’1,11% dell’ultima asta. In calo il bid-to-cover, passato dall’1,57 all’1,48. I Btp a 5 anni hanno registrato un tasso d’interesse del 2,91%, contro l’1,83% di un mese fa, mentre i 15 anni sono stati piazzati a un rendimento del 3,75%, anch’esso in rilevante incremento nel confronto con l’ultima emissione. Tanto è bastato per far impensierire ben più di un operatore.

A cercare di placare gli animi, soprattutto in merito all’Italia, ci ha pensato Maria Cannata. Il direttore generale del Debito pubblico del Tesoro ha fatto il punto sull’attuale situazione del Paese, dal punto di vista del mercato obbligazionario. Le tensioni viste in questi giorni derivano principalmente dagli sviluppi di politica monetaria della Federal Reserve, che di fatto ha annunciato la fine del Quantitative easing (Qe), seppure in via graduale. Ma non solo. I dubbi degli investitori intorno alla reale situazione della liquidità per alcune banche cinesi, principalmente medio-piccole, sono crescenti. E non aiutano le dichiarazioni della banca centrale cinese, la People’s Bank of China, che da ormai cinque giorni ripete che non ci sono né problemi di funding né di liquidità.

Come ha spiegato la Cannata, l’appetito degli investitori stranieri verso i bond italiani continua. Nonostante la precaria situazione politica, con il governo di Enrico Letta appeso alla maggioranza composta da Pd e Pdl, il livello di appeal dei titoli di Stato del Tesoro resta a livelli accettabili. In ogni caso, meglio che nel 2011 o nella prima parte del 2012. L’obiettivo è, come spiegato già a inizio anno, è quello di allungare la vita media dei bond circolanti, in modo da diluire il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Una mossa per ora riuscita.

Ciò che può intimorire gli investitori stranieri sull’Italia, tuttavia, è altro. Secondo la Cannata sono numerose le istituzioni finanziarie statunitensi che hanno di nuovo interesse nel Paese. Vero, considerando i flussi dei Money markets fund a stelle e strisce, che secondo l’analisi di Fitch sono tornati al livello di un anno fa. Il merito è però non tanto della politica economica di Mario Monti, bensì del ruolo di garanzia a tutela dell’euro adottato dalla Banca centrale europea (Bce) quasi un anni fa. È stato mitigato il rischio di convertibilità emerso fra 2011 e 2012, ma non è ancora stato eliminato. E, volgendo lo sguardo all’Italia, sono diversi gli indicatori economici che lasciano intravedere un panorama a tinte fosche per il Paese. Tralasciando i dati sulla recessione, che è facile possano peggiorare da qui a fine dell’anno, sono le stime sulla spesa pubblica a essere drammatici. Secondo il Credit Suisse, il livello di spesa pubblica era a quota 49,9% del Pil nel 2011. Nel 2012 è salito al 50,6%, mentre per l’anno in corso sarà a quota 50,8% e la previsione per il 2014 è del 50,7 per cento. Il tutto a fronte di entrate previste a quota 47,6% per l’anno corrente e del 48,0% per il prossimo. Giusto per una comparazione, le entrate furono pari al 46,2% del Pil nel 2011 e del 47,7% nell’anno appena trascorso. In crescita il debito pubblico in rapporto al Pil. Dal 103% segnato a fine 2008, quest’anno si toccherà il record storico, 131 per cento. Un livello che sarà mantenuto anche durante il 2014. In aumento il tasso di disoccupazione, che a fine anno supererà il 12%, per poi restare su questa quota anche nel prossimo anno. Secondo il Credit Suisse è invece un altro il peggiore dei mali dell’Italia: la competitività. E su questo punto, nemmeno con tutta la buona volontà di questo universo il Tesoro può agire in modo significativo. 

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