«Tronchetti Povera è l’artefice del successo della Pirelli. Lui è la Pirelli». Lo aveva detto Enrico Cucchiani, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, nel settembre 2012, aggiungendo: «Quella di Tronchetti Provera è una leadership indiscussa». È stato così anche stavolta. Al netto della simpatia tra Cucchiani e Tronchetti – il secondo è stato tra i principali sponsor per la nomina del primo alla guida di Intesa – per capire il quadro in cui si è consumato il divorzio dalla famiglia Malacalza tocca scomodare Bertold Brecht: «Se hai un debito di diecimila dollari è affar tuo, ma se è di un milione è un problema delle banche». In questo caso si tratta di Piazza Cordusio e Ca de’ Sass, storici e generosi finanziatori lungo tutta la filiera che fa capo al top manager milanese, e mediatori nella lunga trattativa con la famiglia genovese dei Malacalza. La quale, forte di un miliardo di liquidità, lo scorso agosto ha prima urlato “il re è nudo”, ma poi ha preferito non lanciare un’Opa che avrebbe messo Tronchetti Provera in minoranza, rispettando i patti parasociali sottoscritti nel 2010 all’epoca dell’ingresso nel salottino a fianco degli storici alleati, la famiglia Acutis e i Moratti.
Intesa e Unicredit, assieme a Clessidra, stanno finalizzando il cambiamento nell’assetto proprietario di Camfin (controllata da Gpi al 42%, a sua volta controllata dalla Mtp Sapa al 57% e dai Malacalza con il 30,94%), holding che detiene il 26,2% di Pirelli e il 14,81% di Prelios, ex Pirelli Real Estate. Lo schema predisposto assieme agli advisor – Rothschild e gli studi Pavesi Gitti Verzoni e d’Urso Gatti Bianchi – prevede che la newco Lauro Sessantuno acquisisca il 60,99% di Camfin e lanci un’Opa obbligatoria totalitaria al prezzo di 80 centesimi per azione. La newco sarà interamente controllata dal fondo Clessidra, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Nuove Partecipazioni, a sua volta partecipata da Gpi, Marco Tronchetti Provera Partecipazioni, Yura International, Vittoria Assicurazioni e Fidim. Una nota precisa che il 12,37% di Camfin detenuto dalla famiglia Malacalza sarà ceduto alla newco, mentre il 13,2% indiretto di Camfin «è già nelle disponibilità di Gpi». Il lungo contenzioso legale tra Tronchetti e la famiglia genovese si concluderà infine con una transazione.
Il patto di sindacato di Pirelli (Fonte: bilancio consolidato 2012)
In come è stata condotta la partita il futuro di Pirelli non è stata una priorità. Altrimenti, paradossalmente, i due principali istituti di credito italiani sarebbero entrati direttamente al piano terra della catena di controllo. Non solo evitando un forte sconto sul terp (il prezzo teorico ex diritto, ndr), sensibilmente maggiore nel caso di una holding di controllo relativo, ma soprattutto entrando in una società ben diversificata geograficamente, che nel 2012 è stato in grado di sopperire al calo dell’Europa grazie agli ottimi risultati segnati in Brasile e Stati Uniti, sapendo gestire il passaggio all’alta gamma di Pirelli Tyre. Nel 2012 le vendite a livello consolidato sono cresciute del 7,4% sul 2011 a 6 miliardi, con una redditività al 13% e utili per 398,2 milioni, in calo rispetto ai 440,7 del 2011, che avevano risentito positivamente di 128,1 milioni di crediti fiscali. Nonostante i debiti netti siano saliti da 987 milioni a 1,46 miliardi (con un costo medio del 5,79%), la generazione di cassa è salita a 262 milioni rispetto ai 156 dei dodici mesi precedenti. Le spese per la Ricerca e sviluppo, pari al 3% del venduto – 179 milioni di euro nel 2012 – hanno risentito del bizantinismo della governance. Un livello comunque più basso dei competitor, come ha sostenuto in una recente intervista a la Repubblica l’ex amministratore delegato di Pirelli Tyre, Francesco Gori.
Alla luce di questi numeri è da chiedersi comeun investitore dagli occhi a mandorla possa valutare che un uomo solo possa avere l’ultima parola controllando il 3% circa del capitale. Secondo alcune voci di mercato il valore di carico delle azioni in trasparenza sarebbe inferiore alla quota parte del debito. Le linee guida che il precedente management aveva individuato per crescere ancora sono essenzialmente due: traghettare la compagnia verso il consolidamento in un mercato dove i top 5 hanno una quota complessiva inferiore al 50% e finanziare la crescita organica più rapidamente degli altri.
Risalire all’ammontare dei debiti di Intesa e Unicredit nella galassia Pirelli non è impresa semplice. Al primo trimestre dell’anno l’indebitamento bancario netto di Prelios, ex Pirelli Real Estate, si compone di tre parti: 4,6 miliardi sui fondi immobiliari, altri 1,2 relativi a crediti non performing, 400 milioni di passivo e altri 157,6 riferiti alla gestione corrente. Non solo. A marzo Prelios ha deliberato un aumento di capitale da 185 milioni e approvato altri 250 milioni di finanziamento oltre a 269 milioni che «saranno convertiti in strumenti aventi natura di Convertendo». Un’operazione imprescindibile «per consentire al Gruppo Prelios di operare in una situazione di continuità aziendale». Di quei 185 milioni Intesa si è impegnata per 50 milioni e Unicredit per 25. Oltre ovviamente all’inoptato, per massimi 90 milioni, assieme agli altri istituti del pool.
Pirelli vanta un credito di 173 milioni nei confronti di Prelios, che sarà trasformato in convertendo, e ha 2,4 miliardi di debiti non correnti verso le banche al 31 dicembre 2012, mentre Camfin – stando alla presentazione agli analisti del primo semestre 2012 – ha 382 milioni di debiti finanziari con un pool di istituti, tra cui ovviamente Unicredit (la divisione Factoring vanta crediti per altri 9 milioni) e Intesa.
Risalendo ancora più a monte, i debiti di Gpi – al 42,6% di Camfin – verso le banche, si sono assestati nel 2011 (ultimo bilancio depositato) a 41 milioni di euro. Esposizione a fronte della quale gli istituti hanno richiesto un pegno crescente tra il 20 e il 30% delle azioni Camfin a seconda che il loro valore risultasse inferiore del 110% del debito. Dopo un anno, il titolo Camfin è salito dai 65 centesimi di carico in Gpi agli 85 centesimi della chiusura di ieri. Una magra consolazione per Mr. Pirelli: il rischio è ora una situazione à la Telco, la holding di controllo di Telecom Italia partecipata da Intesa, Mediobanca, Generali e Telefonica, dove la priorità è la riduzione del debito e i ritorni garantiti in termini di dividendi, non gli investimenti. Un ritorno al passato per Tronchetti Provera, ultimo padrone di Piazza Affari, senza successori.
La catena di controllo di Pirelli, fino a ieri