Nonostante l’effetto della riforma Fornero sul mercato del lavoro sia ancora tutta da dimostrare, per l’ennesima volta vengono avanzate proposte sul tema della flessibilità, che puntano alla possibilità di ridurre o addirittura eliminare l’intervallo di 60-90 giorni e di allargare a tutti i 36 mesi (e non solo al primo anno) l’applicazione della “acausalità”, ovvero l’eliminazione dell’obbligo di indicare i motivi di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che giustificano l’apposizione del termine al contratto. Non si nasconde, la sorpresa nel silenzio da parte dei sindacati verso questo argomento.
Il sistema così proposto pone le basi per conseguenze sociali rilevanti, basta osservare gli studi dedicati al caso spagnolo: i giovani che hanno iniziato con Aznar con un contratto atipico si trovano con Rajoy (20 anni dopo) nelle stesse condizioni precarie o peggio, disoccupati di lungo periodo. La Spagna è l’unico paese dove le conseguenze peggiori del mercato del lavoro si sono scaricate completamente verso i lavoratori atipici, che non hanno visto il rinnovo dei loro contratti. Si è trattato di una vera e propria ingiustizia sociale dove la scelta di razionalizzare le spese non si è basata su licenziamenti dettati da decisione oggettive, ma piuttosto dalla tipologia del contratto del lavoratore.
Grafico 1 – Impatto della recessione in Spagna per tipo di contratto (Q3-2007=100)
Fonte: INE, Labour Force Survey
Alla luce dell’esperienza spagnola forse, invece che questi contratti atipici, potrebbe essere più utile introdurre per i nuovi assunti un contratto unico senza articolo 18, dove siano presenti degli exit fee (con maggiorazioni nel caso di licenziamento discriminatorio o disciplinari), utili per compensare la perdita del lavoro e per finanziare il ricollocamento tramite servizi per l’impiego pubblici e privati. Accanto alle attività di partnership pubblico e privato, vanno introdotti almeno altri tre tipi di servizi: job rotation; voucher selezione e programmi di job creation.
La job rotation è stata la fortuna del sistema Ghent in Danimarca tra il 2000-2006 ed è molto diffusa in Germania. A differenza della “staffetta generazionale”, in questo caso avviene una sostituzione temporanea del lavoratore over 45 che frequenta un programma di riqualificazione di un anno con un giovane iscritto ai centri per l’impiego.
Lo strumento fa parte delle linee guida dell’Unione Europea stilate già nel 2009 (di conseguenza è almeno in parte finanziabile con fondi strutturali), ma non sembra aver mai trovato applicazione in Italia. Eppure questo strumento di pro-attività (volontaria) potrebbe ridurre efficacemente il problema di ricollocazione e contemporaneamente offrire un contratto di lavoro temporaneo ad un giovane (di natura simile alla sostituzione per maternità).
Il voucher selezione riprende invece alcune sperimentazioni realizzate in Germania. In particolare, dato che il mercato del lavoro è globale, alcuni profili professionali – non esclusivamente i laureati – potrebbero sfruttare delle opportunità offerte in altri paesi. Il voucher garantirebbe a molti disoccupati di poter realizzare il colloquio di lavoro all’estero garantendo il viaggio, vitto e alloggio (per un massimale di 1000 euro). Per evitare di pagare una vacanza al disoccupato, lo strumento prevede un means-test approvato dai centri per l’impiego. Inoltre, non si tratta di un fondo perduto, ma piuttosto di un prestito agevolato che verrà ripagato con micro-rate dallo stesso disoccupato una volta trovato lavoro. Il costo di questa particolare forma di dote dipende dai criteri di esigibilità e dal numero potenziale dei beneficiari, tenendo presente che il costo iniziale verrà nel medio periodo completamente rimborsato. Attraverso questi versamenti si garantirà il voucher anche alle generazioni successive.
I programmi di job creation, invece consistono in un percorso di ricollocamento per gli over 45. Lo strumento si ispira al Jobb-och Utvecklingsgarantin realizzato in Svezia; un programma destinato a disoccupati di lungo periodo, che ha come obiettivo il collocamento nel minor tempo possibile. Questo programma, che include diverse misure, suddivise in tre fasi:
- attività di orientamento e accompagnamento al lavoro (gli attuali strumenti di occupabilità oggi presenti nei nostri servizi pubblici per l’impiego)
- formazione professionale di lungo periodo, incentivi al collocamento del soggetto svantaggiato e collaborazione con i privati
- occupazione temporanea in una struttura pubblica o para-pubblica
A differenza dei “classici” programmi di lavoro socialmente utile, questo programma integrato, presenta sicuramente maggiori probabilità di successo nell’inserimento sociale ed può essere finanziato, almeno in parte tramite fondi comunitari strutturali.
Attenzione però; lo strumento va benissimo per le persone adulte, mentre va assolutamente evitato nei confronti dei giovani. Le analisi empiriche realizzate in Germania mostrano risultati pessimi: nel lungo periodo l’effetto è nullo, mentre nel breve è addirittura negativo: i giovani che entrando nel settore di basso profilo pubblico bruciano qualsiasi loro possibilità di affermarsi nel difficile mercato privato.
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