Professor Clementi, insieme ad altri eminenti costituzionalisti, è stato nominato per prendere parte alla Commissione per le riforme Costituzionali. Quale sarà il vostro ruolo?
Al momento non posso entrare nei dettagli perché non li conosciamo neanche noi. Oggi pomeriggio, quando saremo ricevuti al Quirinale insieme con il Ministro Quagliariello, sapremo i primi particolari. Per ora posso solo attenermi a quanto riportato dai giornali. Ritengo che il ruolo della Commissione, che proprio in queste ore si sta chiarendo, sarà quello di aiutare e favorire il più possibile la definizione della strumentazione e dei contenuti del testo della riforma costituzionale, che dovrà poi essere valutato dal Comitato dei 40 (commissione speciale bicamerale, formata da 20 deputati e 20 senatori, incaricata di redigere il testo in sede referente per poi sottoporlo al voto del Parlamento, ndr) e soprattutto deciso dal Parlamento, che ha un ruolo cruciale. Il nostro compito sarà quello di mettere la politica nelle condizioni di decidere al meglio.
Il punto di partenza del vostro lavoro rimarrà la bozza elaborata dai “saggi” a fine marzo? Ripartirete da quelle linee guida?
Certamente le proposte elaborate dai 10 “saggi” rappresentano una sintesi importantissima del percorso di riforme di cui ha bisogno il Paese, dalla quale sarà certamente più facile ripartire. È presto per tracciare una roadmap del nostro lavoro. Certo è che quello consegnato a metà aprile a Napolitano è un lavoro prezioso e per quanto mi riguarda da tenere molto ben presente.
Anche se le modalità del vostro lavoro le conosceremo in seguito, sembra scontata la conclusione, ovvero una riforma in senso presidenziale della forma di governo. La stessa dichiarazione di Enrico Letta sull’impossibilità di eleggere il prossimo capo dello Stato con le regole attuali sembra un’implicita apertura al semipresidenzialismo
Non so se arriveremo a quell’esito. La commissione dei 35 è composta da studiosi ed esperti che hanno convinzioni diverse. Sarà interessante, nel dibattito che seguirà, mettere a frutto questo pluralismo di idee e avviare un proficuo dibattito. Tutti abbiamo però la comune certezza che questo Paese abbia bisogno delle riforme, non tuttavia di riforme purchessia.
Insomma, un apporto tecnico e di metodo.
L’obiettivo è quello. Avremo raggiunto il nostro scopo solo se riusciremo a fornire alla politica, tanto al Governo quanto al Parlamento, gli strumenti culturali e tecnici per avviare il processo di cambiamento di cui abbiamo bisogno. A noi non spetterà prendere alcuna decisione, immagino. A quello ci deve pensare – e non può non essere così – la politica assumendosi la responsabilità; noi, direi, abbiamo un ruolo in qualche modo d’ausilio. Cercando di metterli nelle condizioni di decidere al meglio. Quello che più apprezzo, anche da cittadino, è che la politica abbia voluto correre il rischio di riformare se stessa e l’intero sistema nel modo più informato e consapevole possibile.
Quali sono per Lei le priorità da cui partire?
Il nostro Paese è affetto da almeno tre grandi mali. Il primo punto critico, in un’ottica istituzionale e costituzionale, è dato da un bicameralismo che non funziona più. Su questo, per me, si dovrebbe intervenire al più presto: sarebbe preferibile avere una sola Camera che svolga funzioni “politiche” e un’altra che, nello spirito dell’art. 114 della Costituzione, rappresenti il pluralismo istituzionale, culturale e valoriale dato dalle autonomie, regionali e locali, del nostro Paese. Siamo tra i pochi che non hanno ancora una seconda Camera che valorizzi le autonomie e questo non possiamo più permettercelo: è in gioco il collasso del sistema. Il secondo nodo critico, che è urgente affrontare, è collegato: da un lato la riforma delle materie del Titolo V, tenendo a mente il lavoro già svolto ad esempio sul punto dal Governo Monti, dall’altro la necessaria riduzione numero dei parlamentari. Una democrazia funzionante è anche figlia di un sistema politico che ha dimensioni non più sostenibili.
In conclusione, una forma di governo semi-presidenziale?
Alla fine, come strumento e approdo di un miglioramento dell’efficienza e della qualità del procedimento decisionale, io sarei favorevole ad un sistema semi-presidenziale, con un corredo di garanzie, secondo la migliore esperienza francese di questi anni.
Non sarà facile riscrivere i meccanismi di ingegneria costituzionale.
È vero, ma ci dobbiamo provare, soprattutto per gli effetti positivi che una riforma alla francese avrebbe su tutti i processi decisionali, in special modo quello legislativo. La costituzione, d’altronde, è un organismo fatto di più parti vitali e operare in modo chirurgico e isolato renderebbe inefficace ogni modifica. L’importante è che si lavori sulla meccanica, che riteniamo sia il punto più problematico.
Il Colle ha fissato un limite temporale di 18 mesi. Basteranno?
Me lo auguro. In un tempo analogo la Costituente varò la Carta. Credo, però, che se il Presidente Napolitano e il Presidente Letta abbiano convenuto su questo termine sia anche per scuotere la politica a decidere una volta per tutte. Non vedo stavolta possibilità di eludere l’impegno preso con gli italiani, oltre che con il Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune.
Non ritiene che sia meglio mettere in sicurezza subito la legge elettorale e poi pensare alle riforme?
La legge elettorale e la forma di governo non sono cose separate. Anzi, si compenetrano come software e hardware. La grande alchimia tra esse, quello che gli americani chiamano il “magic moment” e noi costituzionalisti il “momentum”, dipende da come la politica deciderà.
Pensa che ci siano le condizioni politiche per un compromesso?
Ritengo che la grande eccezionalità del momento storico e politico porti con sé tutte le condizioni per dare luogo al velo d’ignoranza.
Cosa intende?
Il velo d’ignoranza è quella fase nella quale ciascun attore politico è pronto a fare le riforme perché non è sicuro che facciano vincere l’avversario. Questa condizione si sta realizzando e secondo me favorirà un esito positivo. Siamo di fronte ad una grande opportunità, forse irripetibile, che il Paese non può lasciarsi sfuggire.
È ottimista?
Sì, lo sono. Perché sono cosciente della forza dell’impegno e dello sforzo, anche umano, che il Presidente Napolitano sta riponendo, presidiando da vicino l’attività dei partiti. Il momento è ora e solo ora. La politica sa benissimo che non ci sarà più altra occasione di riformare se stessa e il Paese. Se non riusciranno a conciliare le posizioni opposte, uno schieramento tornerà a prevalere sull’altro, ma su tutti trionferà la demagogia e l’antipolitica, potenzialmente arrivando pure a corrodere le nostre istituzioni.
(Francesco Clementi, classe ’75, costituzionalista italiano. Insegna diritto pubblico comparato all’Università di Perugia e alla School of Government della Università Luiss-Guido Carli. È columnist presso il Sole24ore e collabora con altre testate nazionali. Nel 2009 ha pubblicato per il Mulino “Città del Vaticano”, monografia sull’assetto istituzionale dello Stato Pontificio e nel 2012, sempre per il Mulino “Forme di Stato e forme di governo” insieme a Giuliano Amato)
@enricoferrara1