“Sperimentiamo uno sconto sul costo del lavoro”

Appello al ministro Giovannini

Appello a Enrico Giovannini, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Egregio Ministro,

La crisi del lavoro ha assunto ormai dimensioni gravissime e richiede interventi in tempi brevi, finalizzati a invertire la tendenza degli ultimi anni. Incentivi e agevolazioni, per quanto possano rivelarsi utili per talune specifiche situazioni, non rappresentano un intervento strutturale e tantomeno risolutivo. Servono misure che permettano di liberare risorse per investimenti e innovazione e, allo stesso tempo, rappresentino un’alternativa ai licenziamenti. Uno degli aspetti più gravi della crisi, infatti, è la compressione di interi settori, con la conseguenza che i lavoratori, quando perdono il loro posto di lavoro, non riescono a ricollocarsi nello stesso settore di provenienza, disperdendo così esperienza e know-how.

Una maggiore flessibilità individuale, anche qualora fosse accompagnata da un reale sostegno al reinserimento, non pare essere la risposta adeguata alle contingenze nelle quali le aziende sono portate a tagliare i costi per poter sopravvivere. Del resto per uscire dalla crisi del lavoro non è sufficiente porsi l’obiettivo della mera sopravvivenza delle aziende: anche qualora si assista a una ripresa economica in tempi brevi, ci troveremmo con aziende ridimensionate, incapaci di nuovi investimenti e per nulla competitive sui mercati intra e extra-Ue.

Serve quindi sperimentare un nuovo elemento di flessibilità, che si può individuare nella differenza tra costo azienda e netto percepito dal lavoratore. In altri termini, si potrebbe intervenire con uno “sconto” temporaneo su quel complesso di oneri, contributivi e fiscali, che rappresenta circa il 50% del costo del lavoro. Così facendo non si andrebbe a comprimere né il monte ore, per permettere all’azienda di lavorare a pieno regime, né il netto percepito dal lavoratore, preservando così l’autonomia economica del lavoratore e non deprimendo ulteriormente il mercato interno, a differenza di quanto avviene con altre tipologie di intervento.

Le modalità e gli obiettivi dovrebbero essere concordati attraverso un framework territoriale di settore, composto da associazioni datoriali, sindacati e enti locali, finalizzato a mettere a sistema saperi diffusi (università, centri studi, liberi professionisti ecc..), risorse e infrastrutture per sostenere l’intervento. La durata massima dell’intervento sarebbe triennale, mentre l’entità dello sconto potrebbe essere a sua volta flessibile e modulabile, anche attraverso valutazioni e ricalibrazioni intermedie.

A fronte di una mancata introitazione da parte dello Stato, va però sottolineato che con questo sistema si limitano i costi, anche maggiori, di una erogazione diretta – ad esempio il sostegno al reddito – e indiretta – ad esempio i servizi erogati in forma gratuita o quasi a chi non è titolare di reddito. Inoltre, è da preferire una compressione temporanea dell’introitazione, verificabile e “pilotata”, rispetto a un sistema che ormai espelle quotidianamente lavoratori, che non è dato sapere con certezza quando, come e in che misura riotterranno retribuzione e contribuzione.

Signor Ministro, so che il tema è caldissimo, e che la drammaticità della crisi inviti da un lato a interventi in tempi brevi, dall’altro consigli prudenza. Mi permetto però di farle una proposta: perché non sperimentare questa tipologia di intervento, anche solo su base volontaria e sui settori nei quali il know-how del lavoratore rappresenta un investimento portante? 

*Sociologo del lavoro. Ricercatore presso l’Università dell’Insubria

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