«Non aumentare l’Iva è il primo obiettivo. È importante a livello simbolico per dare un messaggio chiaro: non si aumentano le aliquote per aumentare il gettito. Il gettito lo si ottiene aumentando le dimensioni della torta, e dunque i consumi, non quelle del coltello fiscale che la taglia». Ne è convinto Ugo Arrigo, docente di Scienza delle finanze all’Università di Milano Bicocca. A Linkiesta dice: « Sui servizi a domanda individuale è necessario passare da un sostegno diretto al costo del servizio a un sostegno ai cittadini».
Sul Corriere della Sera Giavazzi & Alesina propongono: tagliamo 50 miliardi di tasse sul lavoro e altrettanti di minori spese spalmate su un triennio in cambio della possibilità di sforare per due anni il tetto del 3% al deficit. Bonanni su La Stampa apre invece a un taglio della spesa pubblica se concordato con le parti sociali. Alfano sembra che sia ancora all’opposizione e minaccia di far cadere il governo sull’aumento dell’Iva. Saccomanni tra le righe nell’intervista al Sole 24 Ore di fine maggio spiegava di non avere margini per ridurre il cuneo fiscale. Il punto è: dove tagliare ora, non tra uno o due anni tramite le riforme strutturali?
Stanno tutti girando a vuoto intorno a un problema che ha una dimensione contabile. Tutto sta nell’efficienza del settore pubblico, cioè quando la spesa si traduce in servizi al cittadino e quando no. Qui ci viene in aiuto la metafora del secchio bucato dell’economista Arthur Okun, secondo cui una parte delle risorse prelevate dai cittadini con le tasse si perde sempre per strada, il punto è che il secchio italiano non è bucato, è sfondato. È qui che bisogna correggere il tiro, ma non con le leggi. La produttività non si crea per decreto, ma con la libera concorrenza.
Come?
Il problema è l’efficienza delle organizzazioni, non dei singoli. L’unico modo è smettere di pagare i conti di molte produzioni pubbliche, pagando invece il loro prodotto. Mi spiego: giusto che sanità e università, ad esempio, rimangano pubbliche, ma non serve a nulla finanziarle a pioggia dal centro alla periferia, quanto lasciare che siano “i clienti”, in questo caso pazienti e studenti, a pagare i servizi. Lasciando che l’intervento dello Stato si concentri su chi non può permettersi le cure o gli studi. Teniamo conto che, depurata dalle spese per investimenti e per gli interessi, il 40% del Pil è “bruciato” dalla spesa per le pensioni e i servizi pubblici a domanda individuale. Questi ultimi valgono il 14% del Pil. Mi piacerebbe sapere se Bonanni, quando apre alla spending review, pensa a questi. Rischio, responsabilità e merito. Sono tre elementi che vanno introdotti nella Pa.
Attraverso authority indipendenti, come sostiene da tempo?
Le authority hanno la funzione di regolare il livello di prestazioni sui singoli settori. Prendiamo la sanità: perché al Sud costa di più ai cittadini ed è peggiore? La soluzione non è destinare maggiori risorse o imporre una gestione commissariale, ma scorporare le Asl dal perimetro del debito pubblico. Così facendo, potrebbero indebitarsi mettendo a garanzia il valore degli edifici. Un modo per non sforare il tetto del 3% del deficit in rapporto al Pil ed evitare di ripiombare nella procedura di infrazione in via di conclusione. Si tratta, in altre parole, di passare da un sostegno diretto al costo del servizio a un sostegno ai cittadini, senza dunque sostegno diretto ma in regime di concorrenza.
Che segnale si attende da Letta?
Non aumentare l’Iva è il primo obiettivo. È importante a livello simbolico per dare un messaggio chiaro: non si innalzano le aliquote per allargare il gettito. Il gettito lo si ottiene ingrandendo le dimensioni della torta, e dunque i consumi, non quelle del coltello fiscale che la taglia. Quanto gettito ha generato il precedente aumento dell’Iva, al netto del calo dei consumi delle famiglie? Ricordiamoci che negli ultimi tre semestri i consumi si sono contratti del 6-7% in termini reali. Basta prendere come riferimento il mercato dell’auto, storicamente la voce più consistente escludendo il mutuo casa. Bene, è tornato ai livelli degli anni ’70. Certo è che per alleggerire davvero le aliquote contributive sul lavoro è necessario riformare ancora la spesa pensionistica. Tutto il resto, direbbe Califano, è “noia” economica.
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