Un primo passo verso il mercato del lavoro europeo

Ancora troppe barriere all'integrazione

 Il 20 giugno la Commissione Europea ha accolto la decisione del Consiglio UE riguardo alla portabilità delle pensioni. Questa proposta di direttiva, passata quasi in sordina, è in realtà un importante passo avanti verso la creazione di un vero mercato europeo del lavoro.

La mobilità dei lavoratori è parte degli obiettivi “Europa 2020” nonché un importante strumento per combattere il dilagante problema della disoccupazione giovanile di cui si parla in queste ore a Bruxelles. Tuttavia, nonostante i flussi migratori intra-europei siano in crescita (specialmente negli ultimi anni e soprattutto dai paesi periferici, con livelli di disoccupazione più elevati) ci sono ancora forti barriere.

I risultati del sondaggio Eurobarometer del 2010, indicano che la strada da percorrere per facilitare la libera circolazione dei lavoratori è ancora molto lunga. Non solo la maggior parte degli europei non ha mai lavorato o vissuto all’estero ma, nella maggioranza dei paesi europei, meno del 20% dei lavoratori considererebbe di emigrare (in Italia solo il 4%); questa percentuale aumenta a 50% se si chiede di considerare una situazione di difficoltà a trovare lavoro nel paese d’origine. La cosa più sorprendente è che paragonando queste risposte a quelle del precedente sondaggio (2005) emerge che la propensione dei disoccupati ad emigrare è nettamente diminuita; in particolare in Italia ed in Grecia la percentuale di persone che sono disposte ad emigrare per cercare lavoro è passata dal 67  al 39 per cento.

La situazione potrebbe essere cambiata con l’aggravarsi del problema occupazionale negli ultimi tre anni, inoltre la propensione ad emigrare è anche determinata da elementi socio-culturali; in ogni caso questo dato resta sorprendente e sottolinea l’importanza di attuare provvedimenti seri per incoraggiare la mobilità.

Fra i principali fattori pratici e legali che ostacolano la mobilità del lavoro sono la scarsa conoscenza delle lingue europee, la mancanza di chiarezza sul riconoscimento internazionale dei titoli di studio, il trattamento fiscale dei lavoratori emigrati, i costi economici di un trasferimento e, non ultimo, la portabilità delle pensioni. 

La direttiva concordata (che richiede ora l’approvazione del Parlamento Europeo) affronta proprio quest’ultimo punto, imponendo agli stati membri di mettere in atto misure minime per l’acquisizione e la protezione dei diritti sulle pensioni integrative delle persone che vanno a lavorare in altri stati membri. La portabilità interna rimane responsabilità dei singoli stati; tuttavia la Commissione si auspica che gli stati membri decidano di applicare tali requisiti anche per le persone che cambiano lavoro all’interno dello stesso paese.
Questa direttiva è un’ottima notizia per l’integrazione europea ed un provvedimento concreto proprio nell’ottica della creazione di un mercato del lavoro europeo.

Il “pacchetto occupazione” dell’aprile 2012 contiene altre importanti proposte di policy tra cui, ad esempio, garantire a chi cerca lavoro in un altro stato membro la conservazione del diritto all’indennità di disoccupazione per più di tre mesi e il riconoscimento delle qualifiche professionali. Sono anche state messe in atto iniziative volte a migliorare il matching a livello europeo fra domanda e offerta di lavoro, ne è un esempio ad esempio il portale Eures (European Employment Services), progetto lodevole che però va ancora potenziato.

Si potrebbe sostenere che la libera circolazione dei lavoratori è sinonimo di fuga di cervelli, tuttavia questa sarebbe una critica miope. Innanzitutto, non sono solo i lavoratori altamente qualificati a poter beneficiare della mobilità intra-europea; anche tralasciando questo punto, e argomentando che a causa di questo fenomeno i paesi d’origine potrebbero uscirne perdenti poiché sostengono i costi di investimento nell’istruzione senza ottenere il ritorno previsto (a causa della migrazione della parte più qualificata della forza lavoro), la risposta non è certo imporre restrizioni, ma piuttosto creare le condizioni affinché paesi come l’Italia diventino a loro volta in grado di attrarre – o rimpatriare – cervelli.

Twitter: @Is_RB

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