Dimenticatevi film come The Goods: Live Hard, Sell Hard, pellicola statunitense sulla vita dei concessionari auto che si incitano a vicenda al grido di «Sell Metal». In Italia non c’è molto da ridere sul mondo dei venditori di automobili. Anzi è la disperazione a fare da protagonista. Perché si sono moltiplicate negli anni storie di fallimenti e crisi di questi imprenditori che nel nostro Paese sono ben più vincolati rispetto al mercato americano, vera patria dei «metal sellers». Il viaggio in questo «buco nero» dell’automobile, un mercato che in 5 anni ha perso il 44%, non può che incominciare da Busto Arsizio. E da «una cattedrale nel deserto», affacciata sulla tangenziale che porta dal centro della cittadina varesotta all’autostrada per Milano.
Fino a tre anni fa, in questo spazio immenso, sorgeva il Volkswagen Zentrum di Pier Giorgio Fiora. Ma adesso è rimasto solo lo scheletro di uno dei centri Audi e Volkswagen più importanti in Italia, fiore all’occhiello delle politiche di esportazione e logistica del gruppo di Wolfsburg. «Avevo comprato anche il piccolo castello qui vicino – ci indica Pier Giorgio Fiora, l’ex titolare -. Volevano che costruissi il primo Volkswagen cafè in Italia. Il mio centro era uno dei più all’avanguardia in Italia. Ho fatto milioni di euro di investimento e mi hanno lasciato solo. L’azienda è fallita, sto cercando lavoro».
La storia di Fiora è solo uno dei tanti casi, forse il simbolo di come il sistema delle concessionarie auto non funzioni più in Italia. E di come le grandi case spesso rendano impossibile la vita agli imprenditori sul territorio italiano. È una delle molte storie che in questi anni hanno attraversato la penisola, con un mercato automobilistico già in crisi, imprese che falliscono e migliaia di dipendenti in cassa integrazione. Secondo il professor Adriano Gios, docente presso l’Università degli Studi di Torino, consulente di case automobilistiche, esperto, «la situazione è molto preoccupante». In un articolo su Interauto News dello scorso mese, il professore accenna anche «al sempre maggior indebitamento bancario» degli imprenditori del settore.
Ma la crisi dei concessionari non ha creato solo drammi familiari per la perdita di lavoro e liquità. Dall’altro lato è incominciato il proliferare di privati che vendono e comprano macchine usate, con i consumatori che spesso finiscono per lamentarsi. Oppure per essere truffati. Oppure, peggio ancora, con il rischio che dietro gli acquirenti dell’usato ci possano essere persino mafie dell’est che in questo modo riciclano denaro sporco. È un mercato parallelo con cui tutti ci siamo imbattuti, trovando i classici biglietti da visita «Compro Usato» tra i tergicristalli delle auto. Promettono soldi in contanti, la radiazione dei veicoli e l’esportazione. Non solo. Alcuni concessionari auto sono finiti pure nelle indagini Infinito e Ulisse di Ilda Boccassini in Lombardia sulla ’ndrangheta, tra tangenti, ricatti e pizzo.
«In Italia i clienti di auto usate sono considerati di serie B – spiega Raffaele Caracciolo, responsabile auto Unc -. Questa è in parte responsabilità dei concessionari che oltre a essere vincolati dalle case madri per gli obiettivi di fatturato annuale, spesso vengono pure multati. Ci sono anche molti casi di chilometraggio taroccato. Gli acquirenti sono tutelati, ma spesso non lo sanno». Il settore, come detto, è in enorme difficoltà e ha lasciato per strada un milione di automobili invendute. A pagare il prezzo più alto sono stati proprio i concessionari con quasi il 60% delle oltre 3mila aziende che stanno per chiudere, con bilanci in rosso.
All’ultimo Automotive Dealer Day di metà maggio, Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto (l’associazione dei concessionari), ha ricordato che «il trend di quest’anno fa prevedere un mercato a 1.250.000 vetture e una ulteriore perdita del 10% sul 2012». E ha chiesto aiuto al governo. I casi in perdita si moltiplicano. Da Daniele Maver, di Jaguar Land Rover che prevede fra quattro anni un ritorno verso quota 2 milioni «cioè la media ventennale delle vendite» fino a Giuseppe Bitti di Kia: «è ragionevole prevedere 1,7 milioni verso il 2017» – target su cui concorda anche Bernard Loire, responsabile italiano della Nissan: «I nostri piani devono essere fatti su volumi di 1,7-1,8 milioni». Nel 2007, anno dei record, le immatricolazioni furono 2,5 milioni.
Sono diversi i motivi di questa crisi. Gli esperti definiscono il settore come affetto da un cortocircuito «perverso» e «vizioso». In teoria ci sarebbe la Federauto a loro difesa, ma spesso sono le stesse case automobilistiche a gestirla. Così si ritorna di nuovo al punto di partenza, con i concessionari che devono sottostare al volere delle grandi case automobilistiche. E se non raggiungono gli obiettivi chiudono. Ma ci sono anche i casi di corruzione, di mala gestione che fanno da corollario a una crisi economica che non conosce fine nel settore.
Basti pensare nel corso del 2012 (dati Quintegia) i concessionari che hanno chiuso i battenti sono stati il 7% del totale. Quasi 400. In 10 anni si sono dimezzati. «Più di uno al giorno» come disse l’ex presidente di Unrae Jacques Bousquet alla fine dello scorso anno. Il mese di aprile si è chiuso con 116.209 autovetture immatricolate, secondo i dati diffusi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, evidenziando una flessione del 10,8% rispetto alle 130.321 dello stesso periodo 2012.
È un bollettino di guerra mettere in fila i concessionari chiusi. Dalla «MG Auto di Palermo (che commercializzava tutti i marchi del gruppo Volkswagen, Porsche compresa, nonché Volvo), la Lucioli di Trieste (Fiat), gli Audi Zentrum di Catania e di Busto Arsizio (quest’ultimo è appunto l’imprenditore Pier Giorgio Fiora), il gruppo Frangi di Como (di nuovo Volkswagen e Audi, come la Automatic di Livorno), il gruppo Sartori in Veneto e quello Santi in Emilia Romagna (entrambi Mercedes, il secondo con circa 300 dipendenti), la Rizzato sempre in Veneto (230 dipendenti, con insegne Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Nissan, Renault e Mazda), la concessionaria Aston Martin di Milano, la Autoclassic di Bari (Toyota)».
Ma la questione tocca tutta Italia. E non riguarda solo i concessionari ma pure i semplici «service», le cosiddette officine dove gli automobilisti si rivolgono per ricambi o per l’assistenza. A Milano e provincia c’è un’area di almeno 50 km che non viene coperta per i ricambi auto. Pensare che quando Fiora lavorava a Busto Arsizio, le cose funzionavano. Nel 2008 la sua azienda ha fatturato più di 107 milioni di euro e venduto 3885 auto nuove e 1631 usate. In sostanza più di 15 macchine ogni giorno, domeniche e feste comprese.
Poi il crac: «In pratica mi chiesero di dedicare alla marca Audi una sede ad hoc, denominata Audi Zentrum Sempione, altrove rispetto alla concessionaria Volkswagen. Mi dissero: questi sono i nostri standard, o ti adegui o sei fuori. Accettai, con qualche preoccupazione ma accettai. Il conto? 12 milioni di euro». Poi le cose si incrinano. C’è la crisi, c’è la concorrenza sleale e Fiora pubblica una lettera su Repubblica dove denuncia tutto. Volkswagen si arrabbia e inizia una trafila infinita di questione giudiziarie che non è ancora finita. Ma adesso sembrano arrivare i primi spiragli di giustizia. «I manager che erano a Verona sono andati via».
Il caso Fiora è arrivato due volte in parlamento. E come spiegò l’ex ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera, durante l’interrogazione parlamentare, la questione va anche extraconfine: «Il settore automotive» disse Passera – «sconta una annosa crisi di sovraccapacità produttiva strutturale, che ha determinato a livello mondiale un calo del grado di utilizzo degli impianti dall’83 per cento del 2007 al 64 per cento del 2009». Come se ne esce?
Secondo Caracciolo «il futuro delle auto è nell’usato, ma va invertito il trend secondo cui ora sono solo i privati a gestirlo». Per Gios «per spezzare il circolo vizioso si rende necessaria una gestione del business sempre più cash flow oriented. Ovvero una sempre più attenta gestione degli aspetti finanziari e monetari dell’attività della concessionaria ed è di fondamentale importanza elaborare una opportuna analisi di sostenibilità individuando il livello di indebitamento sostenibile»
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