Certo, Roma può ancora vantare il record del mondo per il prezzo di un singolo cono di gelato. Dietro a Piazza di Spagna, infatti, un due gusti arriva a costare l’iperbolica cifra di sedici euro. In via Florida, poi, per tre tiramisù e tre cappuccini, rischi uno scontrino da 72 euro. Per non parlare degli espresso a cinque o sei euro nei bar attorno al Pantheon. In questi casi, però, siamo di fronte a vere e proprie truffe perpetrate ai danni dei turisti stranieri, ingenuamente confidanti nella buona fede di alcuni ristoratori e negozianti italiani. Casi, fortunatamente, abbastanza isolati.
Ormai, infatti, la capitale del Belpaese ha smesso da lungo tempo di essere una delle città più care del mondo. Da anni il vero lusso si è spostato altrove, come conferma una ricerca effettuata dalla multinazionale delle consulenze ECA, che ha analizzato il costo della vita a seconda dei prezzi medi di prodotti e servizi comuni nella vita quotidiana. Il punto di vista per il calcolo dei prezzi non è il portafoglio di un comune cittadino, però, ma quello di un expat o, più precisamente, di un dipendente delocalizzato di azienda internazionale, trasferitosi quindi all’estero per motivi lavorativi e per un periodo di tempo limitato. Nessun centro urbano italiano figura nella lista delle prime cinquanta, dove trionfa per distacco Oslo, la capitale della Norvegia.
Nel cuore della Scandinavia una bibita costa in media 2,50 euro, una cena per due 84 euro, un biglietto del cinema 15 euro, una birra 10,50 euro. Qui, ogni residente paga in media 186 euro al mese per le bollette, e dodici uova costano 6,50 euro, il doppio rispetto a New York. I prezzi sono ovviamente rapportati agli altissimi standard di vita in Norvegia, dove il dipendente di un’azienda che lavora nell’industria o nei servizi guadagna in media 42.475 euro annuali, contro i 25.808 euro degli italiani e i 2800 dei rumeni. Nel Paese di Re Harald V anche un’altra città spicca per i suoi prezzi folli: Stavanger, nella contea di Rogaland, dove hanno sede le principali industrie petrolifere del paese, si aggiudica la terza posizione globale.
A completare il podio è Luanda, costosissima capitale dell’Angola, dove la modernizzazione ha portato consistenti squilibri economici: qui il Pil procapite annuale è inferiore ai 1000 dollari, ma affittare un bilocale costa più di 5000 ogni mese. E per uno spuntino veloce al bar, panino più bottiglietta d’acqua, si spendono circa 15 euro. Juba, in Sud Sudan, occupa la quarta posizione in graduatoria, ed è anche la città che ha fatto segnare l’ascesa più repentina nell’ultimo anno (nel 2012 era solo 45esima). Poi arrivano due capisaldi degli scontrini salati: Mosca, in Russia, e Tokyo, che ha lasciato lo scettro dopo anni di dominio incontrastato come città regina del salasso. Nella top ten la nazione più rappresentata è tuttavia la Svizzera, con ben quattro città: Zurigo (settima), Ginevra (ottava), Basilea (nona) e Berna (decima).
Inaspettatamente, la città più costosa della americhe per un expat è Caracas (33esima), mentre più dietro appaiono New York (43esima) e la canadese Vancouver (51esima). Tra le venti località più dispendiose del pianeta, quattro si trovano in Africa: oltre a Luanda e Juba, ecco infatti Brazzaville (Repubblica del Congo, 18esima) e Kinshaha (Repubblica democratica del Congo, 19esima). La prima città cinese ad apparire nella lista di ECA è Pechino, 24esima assoluta. Tokyo, come detto, ha perso la prima posizione assoluta dopo tre anni (ora è sesta). La perdita di valore dello Yen rispetto alle altre valute mondiali ha contribuito a sancire questo abbassamento dei prezzi; questo significa che per molte aziende mantenere i dipendenti in trasferta nella capitale del Giappone costa oggi meno rispetto ad un anno fa. Ma non poi così tanto. Nell’unico stato asiatico membro del G8, infatti, la vita si conferma assai dispendiosa, come conferma la presenza di numerose altre città giapponesi in graduatoria: Nagoya, Yokohama, Kobe e Osaka.