«Il calcio saponato è intramontabile, ma da un po’ di anni va molto il volley acquatico. Il campo è lo stesso, si aggiunge la rete e lo si riempie con 30 centimetri d’acqua. A pallavolo ci giocano anche le ragazze, in costume. Sa com’è…». Marco Morbioli, di Verona, ha iniziato a lavorare con i giochi gonfiabili nel 1987, quando – ricorda – erano in tre in tutta Italia. Oggi gli operatori sono centinaia.
Castelli, labirinti, scivoli, balene, case casette e svariati animali. Una costante lungo lo Stivale, i giochi gonfiabili sono parte integrante del paesaggio estivo, dalla Liguria alla Sicilia passando per la riviera romagnola. Sagre, ristoranti, bar, piazze ma quest’anno la mania è diventata davvero di massa, soppiantando i gloriosi luna park che stazionano mestamente sui lungo mare di mezza Italia. Il gioco è vincente per le famiglie (i bambini non si sporcano, non si fanno male, si divertono e si spende di meno) per i ristoratori (i clienti aumentano) e soprattutto per i proprietari/noleggiatori: «Ho una giostrina che costa 40mila euro. Per montarla vanno via due giorni. Con la stessa cifra compro 15 scivoli: per gonfiarne uno ci metto mezza giornata», ammette Morbioli. Al Nord, soprattutto tra Bergamo e Verona, il mercato è saturo mentre al centro-sud l’attrazione non è così popolare, quindi ci sono più margini. Tanto che, racconta ancora Morbioli, «ho un collega che spesso va a Roma. Evidentemente riesce a guadagnarci nonostante la benzina costi sempre di più».
In Italia sono circa 300 le imprese recanti come oggetto sociale “esercizio area giochi”. Che possono essere di due tipi: playground, tipicamente i castelli oppure la nave con una piccola torretta e una scala, e i gonfiabili, dove invece i bimbi under 12 possono saltare e scivolare. I primi, a differenza dei secondi, non necessitano della licenza di “spettacolo viaggiante”. I playground sono importati solitamente da Usa e Inghilterra, mentre i gonfiabili sono tutti made in China.
Tre i soggetti sul mercato: venditori, noleggiatori e gestori di aree giochi. Filippo Trovato fa parte dei primi, ed è il titolare di Birbalandia Park, società di Licata (AG) famosa per aver realizzato il paparazzatissimo megascivolo gonfiabile dello yacht degli stilisti Stefano Dolce e Domenico Gabbana (foto sopra). Si vanta di essere l’unico produttore rimasto in Europa, mentre gli altri acquistano in Cina. «È un’attività protagonista di un boom in tutta Europa», osserva «perché anche se c’è la crisi i genitori sono comunque disposti a spendere 4-5 euro per i figli». Il listino prezzi va dai 14mila euro per una struttura completa di scivoli e tappeti elastici a 3mila euro di un labirinto. Noleggiare invece costa circa 200 euro al giorno. Tutto dipende ovviamente dalla grandezza e dalla complessità della struttura.
Se non volete farli arrabbiare, evitate di chiamarli “giostrai”. Non per malcelato orgoglio, ma per lacci e lacciuoli burocratici. Le carte bollate, così come il Paese, bloccano anche la loro attività. «Siamo regolati da normative che hanno le peculiarità tipiche dei Luna Park, cioè dello “spettacolo viaggiante”. Un conto però è collaudare la giostra di Mirabilandia, un altro un gonfiabile di due metri», spiega Piergiorgio Matassoni, responsabile area territoriale Est Romagna della Cna di Modena. Sotto l’ombrello dell’associazione degli artigiani, nel 2009, è nata Cna Play Areas, che riunisce 150 aziende del settore. Agli associati chiede una quota di 150 euro l’anno in cambio di assistenza legale e amministrativa, a quanto pare assolutamente necessaria.
Impreparazione dei certificatori comunali e difformità di regole aumentano vertiginosamente i costi per avere il via libera degli enti locali. Si arriva anche a 2-3mila euro ad autorizzazione, spiegano, anche soltanto per mezza giornata di lavoro. E gli aneddoti si sprecano, come quella volta che ad un associato è stata rifiutata l’autorizzazione perché nelle istruzioni del gioco gonfiabile non era specificata la tipologia di detergente utilizzato per la pulizia. O ancora perché mancava il marchio CE come nei giocattoli, senza sapere che nei giochi professionali è assente. Gli adempimenti e i collaudi incidono sul 20% dei guadagni, lamentano gli operatori del settore. Poi nel caso delle sagre c’è il pagamento dell’occupazione del suolo pubblico, ma è un’eventualità rara: circa il 90% dei gonfiabili si trova su aree private. Se il gonfiabile è un’attività secondaria – gratuita o meno – rispetto ad esempio ad un ristorante o uno stabilimento balneare, non serve l’autorizzazione che tanto fa penare i gestori ma soltanto i requisiti di onorabilità previsti dall’art. 68 del Tulps (niente procedimenti penali a carico, né atti di esecuzione coattiva).
Oggi ciò che preoccupa di più i signori dei gonfiabili, assieme alla burocrazia, sono le denunce dei genitori: «Una volta se un bimbo si slogava una caviglia si andava in ospedale e finiva lì, oggi per non sbagliare ti fanno causa», dicono, «come se a noi per primi non stia a cuore la salute dei nostri clienti».
Twitter: @antoniovanuzzo