Aurelio De Laurentiis, lo sceicco che fa sognare Napoli

Ritratto del vulcanico super presidente

Agitò le mani, si voltò e percorse quel non così lussuoso tappeto rosso imprecando, inquadrato in piano americano: «Siamo delle teste di cazzo». Poi, riprese la corsa ma si girò ancora una volta: «Voglio ritornare a fare il cinema, siete delle merde». Era furente: «Mi vergogno di essere italiano» aggiunse, trafelato, a un cronista con il taccuino in mano. Ormai in campo lungo, inseguito dai giornalisti, fermò un ragazzo per strada e salì a cavallo del suo scooter. Poi, la fuga verso l’orizzonte con i capelli al vento, lungo via Feltre.

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Era il 27 luglio del 2011 e a Milano si compilavano i calendari del campionato di serie A. Il protagonista della sequenza era Aurelio De Laurentiis. Due anni dopo, i suoi proclami di abbandono non sono che un ricordo. Lontanissimo. Non ha lasciato il mondo del pallone ed è tuttora il presidente della Società sportiva calcio Napoli. Anzi, accantonato l’oculato fair play finanziario, si è trasformato nello sceicco Aurelio. L’unico presidente italiano in grado di affrontare spese pazze. I 37 milioni di euro (più tre di bonus, che in totale fanno 40), messi sul piatto d’argento al Real Madrid per acquistare il centravanti argentino Gonzalo Higuaín, hanno frantumato ogni concorrenza. De Laurentiis ha elaborato abbastanza in fretta il lutto per la perdita di Edison Cavani grazie ai 64 milioni ottenuti dal Paris Saint Germain, dove gli sceicchi sono davvero arabi. E ha reinvestito parte della somma. 

Aurelio De Laurentiis firma il contratto del pipita Gonzalo Higuaín e mette la foto su Twitter

Dopo quanto successo in Irpinia stasera presenteremo solo maglie e nuovi giocatori. Le altre novità col Benfica #ADL http://t.co/Ew7qFOovSw

— AurelioDeLaurentiis (@ADeLaurentiis) July 29, 2013

Così, El Pipita, reduce da sette campionati e 121 reti tra le merengues, è arrivato a Napoli. La foto è stata postata dal vulcanico presidente sul suo attivissimo profilo Twitter. Higuaín è solo uno dei tre giocatori comprati quest’anno dal Real: Raùl Albiol, Josè Callejon e, appunto, il bomber sudamericano. Tre sono parecchi. I beni informati non se ne ricordavano nemmeno uno nella più o meno recente storia del Napoli.

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Al guidare una squadra (quasi) stellare ci sarà Rafael Benítez, allenatore di fama internazionale (ex Liverpool, Valencia, Chelsea e, pure, Inter, dove fu meno fortunato), a cui sono affidate le redini dei sogni partenopei. A Napoli – città bellissima quanto difficile – l’entusiasmo è altissimo, per ritrovarne uno simile bisogna tornare indietro di 29 anni, quando gli azzurri acquistarono dal Barcellona un altro argentino. Si chiamava Diego Armando Maradona: «Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires», disse il 5 luglio 1984 alla presentazione ufficiale allo stadio San Paolo.

Era l’epoca di Corrado Ferlaino. Oggi siamo negli anni del più cosmopolita Aurelio De Laurentiis, che un giorno promise di portare il Napoli dalla C alla Champions. Figlio del celebre Luigi De Laurentiis e nipote di Dino, entrambi produttori cinematografici, è nato il 24 maggio 1949. Titolare della società di produzione e distribuzione Filmauro, fondata con il padre Luigi nel 1975, iniziò la carriera di produttore con Un borghese piccolo piccolo e un Alberto Sordi tragico, diretto da Mario Monicelli e basato sul romanzo di Vincenzo Cerami. Poi, proseguì con tutta l’infinita saga dei cinepanettoni in ogni versione di vacanza natalizia (dai fratelli Vanzina a Neri Parenti), fino all’ultimo lavoro, in uscita, Il terzo tempo – il rugby come metafora della vita – prodotto insieme al figlio Luigi (che si chiama come il nonno) e appena selezionato nella categoria Orizzonti alla prossima Mostra di Venezia. In mezzo, c’è quell’estate del 2004 in cui acquistò il Napoli: «Ero a Los Angeles per finire un film con Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Jude Law, Sky Captain and the World of Tomorrow, aprendo i giornali lessi del Napoli in bancarotta. Di calcio non sapevo niente, i moduli pensavo fossero numeri da cabala». Fu un colpo di fulmine e in una mattina d’agosto prese il motoscafo da Capri e attraccò all’alba a Napoli. Unicredit, nella sede di via Verdi, gli preparò assegni circolari per circa 30 milioni di euro, che versò per rilevare il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli. Iscrisse, così, la squadra al campionato di serie C1 con la denominazione Napoli Soccer, che utilizzò per i due campionati in terza serie. Come promesso, una volta in B, la società tornò a chiamarsi S.S.C. Napoli. Nel 2007 il club partenopeo conseguì l’immediata promozione in Serie A, tornando in massima serie dopo 6 anni di assenza. Nel 2011, con Walter Mazzarri in panchina, riportò il Napoli in Champions League, a distanza di 21 anni dai tempi di Maradona. E un anno fa, nel 2012, De Laurentiis vinse il primo trofeo della sua gestione: la Coppa Italia.

Ora pensa in grande. Poche settimane fa, è arrivata la promessa di investire 124 milioni di euro, frutto anche di anni di bilanci virtuosi, per attrezzare una squadra in grado di conquistare lo scudetto. Lo ha fatto ancora una volta su Twitter (è l’unico presidente presente sul social network). A un tifoso che gli chiedeva «Presidente come sono fatti 64 mln di euro?», De Laurentiis rispose: «Intanto sono 64,5 che uniti ai 60 che avevo messo in budget diventano 124,5 da essere investiti nel Napoli con diligenza ed esperienza». Cifra folle per una Serie A in braghe di tela, per lo più da un presidente a cui i tifosi scrivevano ovunque «Cacc’ ’e sord». Che i tempi siano cambiati lo si è capito dai suoi tweet compulsivi con cui ha preannunciato il botto Higuaín: «Dopo Albiol ci sarà un altro colpaccio? Assolutamente si!».

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Vulcanico, iroso, roboante, provocatore, De Laurentiis è un comunicatore agguerrito, un mattatore. Nell’estate del 2011 – l’anno in cui si infuriò per i calendari di campionato sfavorevoli a un Napoli in lizza per le coppe, nonostante pochi minuti prima si fosse dichiarato soddisfatto – mitragliò in un sol colpo una serie di polemiche esternazioni, a margine di un’amichevole con una rappresentativa di dilettanti. Primo bersaglio il vincitore degli ultimi Palloni d’oro: «Per me, Messi che va alla coppa America è un cretino, perché dovrebbe dire no, non ci vengo, in Nazionale dovrebbero giocare solo i giovani, non le stelle affermate» E ancora: «Cavani? Se si fa male, chiediamo i danni all’Uruguay. Lavezzi è uno scapigliato. Il suo agente? Se fa lo scemo gli stritolo le palle».

Si dice paterno con i giocatori, fino a quando non gliele fanno girare. In una conferenza stampa, senza giornalisti (tenuti rigorosamente fuori dalla porta), a un tifoso che lo invitava ad aumentare il salario del matador Cavani pur di trattenerlo, rispose: «Noi dobbiamo insegnare a questi ragazzi che a Napoli non si viene per soldi ma per amore della maglia. Se faccio guadagnare 3 milioni netti al giocatore, ovvero 6 milioni lordi ovvero 500 mila euro al mese, ma di che cazzo parliamo… Io non faccio di mestiere il moralizzatore ma a volte me li guardo negli occhi e dico “fatte un altro tatuaggio sul pisello se hai spazio”». Ascolta l’audio

Burrascoso il rapporto con i giornalisti. «I giornalisti del calcio sono dei gran cafoni perché sono interessati solo ai soldi», ha replicato De Laurentiis a un cronista che gli domandava della situazione di Cavani. «Non si permetta», è intervenuto un altro giornalista e il presidente del Napoli ha attaccato: «Mi permetto e le metto anche le mani addosso se continua… Noi del cinema siamo gran signori». Il 10 ottobre 2012 De Laurentiis è stato deferito dal Procuratore federale Palazzi alla Commissione Disciplinare Nazionale per due motivi: per la mancata presenza della squadra alla premiazione della Supercoppa di Lega, giocata a Pechino e vinta dalla Juve, e, appunto, per la lite con un giornalista al consiglio di Lega del 4 luglio. Nel gennaio del 2012, ancor a risposta a una domanda di un giornalista gli chiedeva delucidazioni in merito agli obiettivi della stagione, lanciò strali contro la città di Napoli: «Che cazzo avete vinto a Napoli? Poi uno si rompe i coglioni e se ne va. A Napoli non funziona un cazzo. A Napoli c’è solo il calcio. Allora ringraziate».

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Seguirono polemiche. Ma ora è per tutti (o quasi) lo sceicco Aurelio. I tifosi l’hanno riscoperto. E pensare che De Laurentiis vorrebbe costruire uno stadio senza curve: «Se potessi costruire un nuovo stadio abolirei le curve. I miei tifosi sono venuti da me, mi hanno detto nel caso di una ristrutturazione del San Paolo: “Presidente se lo fa costruisca i gradoni perché noi i seggiolini li spacchiamo”. Ho risposto: “Ma le norme Uefa ce li impongono addirittura di 33 centimetri e non da 25 come li abbiamo ora”. Da quando ho preso il Napoli in serie C ho capito che nel calcio c’è la diseducazione dei frequentatori, delle famiglie che istigano la provocazione sul campo». Ora per De Laurentiis sembra essersi aperta una nuova stagione. Gli tocca, però, battere davvero il Ciak: far sognare la città del Vesuvio (e magari vincere). Non è scontato e nemmeno così facile come una velenosa esternazione o un sagace tweet.   

Twitter: @ADeLaurentiis@sscnapoli

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