Basta Province, il futuro sono le unioni tra comuni

Come riformare davvero lo Stato

Mentre torna di attualità il dibattito stucchevole sul futuro delle province, tra la Consulta che boccia la riforma avviata via decreto dal governo Monti e il nuovo Ddl dell’esecutivo Letta che prova a riavviare l’iter per cancellarle, raccontiamo qui sotto una bella storia di territorio: 11 comuni dell’Alta padovana (Borgoricco, Campodarsego, Camposampiero, Santa Giustina in Colle, San Giorgio delle Pertiche, Loreggia, Massanzago, Piombino Dese, Trebaseleghe, Villa del Conte, Villanova di Camposampiero) si sono uniti mettendo insieme funzioni e servizi di prossimità, gestione amministrativa, della Polizia locale e del personale, raccolta rifiuti e attività produttive, mense scolastiche e ricettività turistica. E i risultati si vedono per economie di scala, risparmi, efficienza delle macchine comunali, minor costi scaricati sui cittadini e minor utilizzo di dipendenti pubblici. E’ un piccolo esempio di come si possa fare efficienza e riformismo dal basso, senza aspettare la spinta di Roma. Senza incartarsi su sofismi e riforme a parole, dibattiti accademici sul futuro o meno delle province che hanno solo l’obiettivo di rinviare qualsiasi razionalizzazione e qualsiasi taglio degli sprechi alle calende greche. Pensate solo se questo meccanismo dal basso si mettesse in moto in tutta Italia, quanti risparmi si produrrebbero? Province o non province…

Il proverbio africano che recita «da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano» forse è poco appropriato per descrivere il processo di associazionismo obbligatorio dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Nell’immaginario collettivo, la pubblica amministrazione è considerata lenta, pesante, ripetitiva, farraginosa, incapace di andare oltre il mero aspetto formale, per nulla lungimirante. Tuttavia il ripensamento dell’organizzazione dei comuni, sperimentato e condiviso negli ultimi dieci anni da undici sindaci, dimostra che «insieme» anche i comuni possono andare più lontano, offrendo i propri servizi più velocemente e a costi inferiori. «Stiamo insieme per costare meno, fare di più, funzionare meglio ed essere utili alla crescita del territorio», dicono oggi i sindaci del camposampierese.

L’Unione dei comuni del camposampierese fu costituita nel 2001 più per il miraggio dei contributi pubblici legati all’incentivazione dell’associazionismo intercomunale che per la piena consapevolezza delle sue potenzialità. Per quasi dieci anni il motto dei sindaci dell’Unione è stato: «stiamo insieme finché conviene!». Si trattava di un approccio prevalentemente pragmatico indotto dalla necessità di giustificare innanzitutto a se stessi e ai propri consigli comunali l’opportunità di condividere funzioni rinunciando, di fatto, a pezzi di sovranità a favore di una gestione associata che richiede coerenza collettiva nelle direttive politiche e nuovi parametri di valutazione e di controllo. È interessante notare come il Piano strategico redatto nel 2010 faccia riferimento non più al motto dei sindaci, ma alle «10 buone ragioni per mettersi insieme». La «convenienza» resta una motivazione importante, ma non è più l’unica. Potremmo dire che è necessaria per assicurare il rigore, ma non la crescita. Ad essa va aggiunta l’«opportunità».

Gli undici comuni si sono messi assieme sul piano istituzionale per gestire con rigore le funzioni amministrative e, attraverso un tavolo permanente di governance, per assicurare la crescita e lo sviluppo del territorio. Il processo di aggregazione dei servizi merita di essere valutato non solo in relazione alla riduzione della spesa pubblica, ma soprattutto per la nuova cultura amministrativa che promuove: la cultura campanilistica non è più sufficiente per affrontare le sfide attuali, indipendentemente dalla dimensione del campanile, bisogna avere la capacità di passare dalla cultura dell’«io» a quella del «noi»; l’innovazione istituzionale che anticipa la riforma istituzionale dello Stato nella prospettiva di una governance europea multilivello; il rilancio dello sviluppo territoriale che attiva. Il trasferimento della funzione all’Unione o la sua gestione in convenzione, assicura infatti servizi adeguati alle esigenze della cittadinanza, generando una riduzione dei costi complessivi della pubblica amministrazione.

In particolare, tra le ragioni per mettersi insieme, cinque sono di natura economico-finanziaria: far fronte ai progressivi tagli dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali e ai vincoli derivanti dal patto di stabilità, che rendono la gestione, per un comune con limitate risorse economiche proprie, sempre più complessa; apportare le capacità amministrative e la nuova adeguatezza che il trasferimento delle competenze dallo Stato ai comuni ha reso necessarie, ma che comuni di piccole dimensioni non possono sostenere in modo esclusivo; permettere lo sviluppo di competenze specifiche capaci di fronteggiare i continui cambiamenti richiesti nella gestione e nell’erogazione dei servizi, difficile da assicurare in enti locali con ridotta struttura organizzativa; raggiungere economie di scala e obiettivi di riduzione delle spese, impensabili con una gestione diversa dalla forma associata; aumentare il potere di acquisto sul mercato della fornitura e l’efficienza complessiva della struttura organizzativa.

I risultati, facilmente verificabili e misurabili, prima e dopo la costituzione dell’Unione, sono incoraggianti. È interessante rilevare che la pressione tributaria locale, costituita dalle imposte e dalle tasse comunali, per gli abitanti del camposampierese è inferiore del 40% rispetto alla media nazionale. Un altro dato significativo riguarda il costo medio per abitante dei servizi trasferiti dal comune all’Unione. Se il loro costo era di 14 euro circa prima dell’aggregazione, nel 2011 è diminuito confermando un risparmio del 21%. E se tale valore venisse attualizzato al tasso di inflazione, il risparmio medio ad oggi per abitante sarebbe del 38%. Non basta. Se la spesa di indebitamento per abitante nel ’99 era pari a 620 euro, nel 2011 per i cittadini residenti nel sampierese è sceso a 449 euro. Lo stesso per il numero di dipendenti pubblici per abitante: nel ’99 erano 1 ogni 225, adesso sono 1 ogni 362 contro una media nazionale di 1 ogni 116. Inoltre, con la progressiva riduzione dei trasferimenti pubblici agli Enti Locali, la gestione associata ha aiutato a far fronte ai grandi cambiamenti imposti alla finanza comunale. Ha consentito anche di aumentare la produttività del sistema territoriale, fissando, per i servizi erogati, obiettivi non solo economici, ma anche di efficacia. Sempre di più si «starà assieme» per ridurre i costi, «fare di più», «funzionare meglio», aiutarsi a vicenda.

*Estratto dal capitolo «Razionalizzazione dei comuni: c’è chi l’ha fatta» contenuto nel libro 11 idee per l’Italia (Marsilio Editori, 2013) 

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