Chi ha risorse in Italia e può fare a meno delle banche

Predatori & Prede del capitalismo

Non le banche, non le partecipate statali. C’è la Cassa depositi e prestiti, ma è un ente pubblico. Quali sono le imprese italiane che fanno shopping all’estero, e soprattutto quante di loro hanno sufficiente fieno in cascina per farlo in questa estate di shopping straniero nel Belpaese? Quanto il sistema italiano è a sua volta predatore all’estero lo abbiamo raccontato negli scorsi giorni. Passo successivo: chi possiede davvero la cassa in Italia? Ossia chi è/sarebbe in grado di investire per fare acquisizioni e aggredire nuovi spazi di mercato? Restiamo irriducibilmente un mercato senza capitali? Guardare ai market mover del listino sarebbe fuorviante. Industria, manifattura, alimentare, servizi. Questi i settori che esprimono potenziali predatori sui mercati internazionali. Luxottica, Interpump, Tod’s, Campari, Brembo, Recordati, Barilla sono alcuni indiziati. Il tesoretto in cassa è un elemento che offre uno spaccato parziale. È infatti il suo rapporto con l’indebitamento a dare la misura tanto della loro potenza di fuoco, quanto della disponibilità degli istituti di credito a finanziare eventuali acquisizioni.

Scorrendo la classifica delle principali operazioni di M&A degli ultimi due anni, stilata dalla società di consulenza e revisione Kpmg, si scopre che – Snam ed Eni a parte – i protagonisti sono imprese industriali, farmaceutiche e alimentari. Andrea Guerra (uno dei circa 80 soci de Linkiesta, ndr), amministratore delegato di Luxottica, in un’intervista al Sole 24 Ore spiega con chiarezza la volontà dell’azienda di «essere sempre nelle condizioni di poter cogliere opportunità», in riferimento al bond da 500 milioni di prossima emissione. L’ultima preda è stata l’australiana Optifashion Group, nel 2010, ma i numeri del secondo trimestre appena pubblicati consentono di pensare in grande: il flusso di cassa generato nel trimestre è di 200 milioni di euro (180 milioni nello stesso periodo del 2012), a fronte di una posizione finanziaria netta di 1,8 miliardi (+70 milioni sul secondo trimestre 2012) e un margine lordo che sale da 413 a 454 milioni e mezzi propri per 4,1 miliardi.

Un altro gioiellino è Interpump, attiva nella produzione di pompe a pistoni ad alta pressione e nell’oleodinamica. Nel 2012, ha acquisito le italiane Galtech e M.T.C., la brasiliana Takarada, e la American Mobile Power. Una crescita, quella per linee esterne, che rappresenta uno degli obiettivi principali dell’azienda assieme all’espansione in tutto il mondo, come si legge nella lettera agli azionisti. Chiuso a giugno 2012 il cantiere dell’aumento di capitale da 56 milioni, alla fine dell’anno scorso l’indebitamento è sceso a 102,3 milioni rispetto ai 127 di fine 2011, con una generazione di cassa di 38,6 milioni di euro rispetto ai 30,9 milioni del 2011 (+24,9%) e i mezzi propri saliti da 315 a 391 milioni. Il margine lordo, 104,6 milioni di euro (+10,6% sul 2011) «rappresenta il 19,8% delle vendite».

Una percentuale simile alle società che operano nel settore del lusso. Il margine di Tod’s a marzo 2013, calato del 4,3% sul medesimo periodo del 2012 a 63 milioni, rappresentava comunque il 25% delle vendite. Diego Della Valle, nonostante la generazione di cassa negativa per un centinaio di milioni nel 2012, vanta comunque un tesoretto da 168 milioni oltre a mezzi propri per 758 milioni. Se non fosse distratto da mire editoriali, potrebbe davvero dire la sua rilevando – per esempio – un marchio come Yoox, negozio online e piattaforma di e-commerce d’abbigliamento che i rumors estivi dicono stia suscitando gli appetiti di un grande gruppo del lusso transalpino.

Brembo, dal canto suo, nel primo trimestre ha investito 115 milioni di euro per espandersi nel distretto industriale di Homer, vicino a Detroit, e nella fabbrica di San Paolo, in Brasile. Per la società guidata da Alberto Bombassei, uomo forte di Confindustria e ora parlamentare montiano, il primo trimestre ha visto aumentare margini e debito, rispettivamente da 42 a 47 milioni (12% delle vendite) e da 320 a 344 milioni da dicembre 2012. Salgono anche i mezzi propri, da 393 a 413 milioni. A fine 2012 la cassa si è assestata a 41 milioni (26,6 nel 2011), mentre quella generata nel corso dello scorso esercizio è stata pari a 14,5 (-14 milioni nel 2011).

Giovanni Recordati, patron e amministratore delegato dell’omonimo gruppo farmaceutico, è un altro imprenditore che può ritenersi soddisfatto del primo giro di boa finanziario dell’anno , iniziato con l’acquisizione dei diritti riguardanti un portafoglio di prodotti per il trattamento di malattie rare dalla Lundbeck, chiuso a gennaio per 100 milioni di dollari. Crescono i ricavi a 477 milioni (+13,8% su dicembre 2012), i margini (102,6 milioni, +13,8%), e le spese per la ricerca e lo sviluppo, 37,9 milioni (+30%), che pesano sul 7,9% dei ricavi. La cassa è positiva per 42,4 milioni (+4%), mezzi propri a 703 milioni (+42%) e una posizione finanziaria netta invidiabilmente negativa per 172,9 milioni.

Un po’ come Interpump, anche Campari ha un imperativo categorico: svilupparsi per linee esterne, conquistando quote di mercato e facendo economie di scala. Così è stato l’anno scorso con l’aquisizione di Lascelles de Mercado, che produce vari rum giamaicani tra cui l’Appleton per 316 milioni. Nel primo trimestre dell’anno, periodo che tradizionalmente in Italia risente dell’art. 63 della legge 27/2012 (limiti ai pagamenti ai fornitori delle società alimentari di 60 giorni per i prodotti non deperibili e 30 per quelli deperibili, ndr), il gruppo ha evidenziato un indebitamento in crescita da 869,7 a 914 milioni di euro, margini a 35,4 milioni (-25,2%). Nel consolidato 2012 i mezzi propri della società erano in crescita da 1,36 a 1,42 miliardi, mentre la generazione di cassa da 414 a 442 milioni. Nella presentazione agli analisti dei risultati al primo trimestre non sono state annunciate altre operazioni, ma non è esclusa qualche sorpresa nella seconda parte dell’anno.

Rimanendo in tema alimentare, un’altra azienda familiare che se non diventa predatore potrebbe finire preda è Barilla. Nel comunicato stampa sul consolidato 2012 (la società non è quotata) i ricavi sono saliti del 2% a 3,9 miliardi mentre i margini si sono contratti a 433 milioni (-9,2% sul 2011) così come i debiti a 574 milioni (688 a fine 2011). Per risalire alla sua capacità di fuoco bisogna spulciare l’annual report 2011 : la generazione di cassa dell’attività operativa si è fermata a 250 milioni di euro rispetto ai 498,8 milioni del 2010, ma in cassa ci sono comunque 100 milioni di euro. «Il processo di dismissione in corso del gruppo tedesco di prodotti da forno Lieken consentirà a Barilla di rafforzare ulteriormente la propria solidità finanziaria», si legge nel comunicato. Liberando risorse per passare dagli attuali 18 ai 100 milioni di fatturato in Brasile nel 2016. In concomitanza con le Olimpiadi. In conclusione: in Italia ci sono molte aziende che ancora funzionano, e guarda caso sono quelle dove le famiglie detengono ancora la maggioranza delle azioni. Eccezioni grandi e grosse per chi vorrebbe che il mercato fosse in stile anglosassone con public company che nel Paese si svilupperanno sempre a passo di gambero.

Twitter: @antoniovanuzzo 

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