«Una delle cose più belle io abbia mai fatto è stata insegnare ad una classe di 160mila studenti». Sebastian Thurn è un luminare. A Google, ad esempio, Thurn ha fondato Google X, il laboratorio in cui sono state concepite innovazioni come la macchina che si guida da sola e i Google Glass. La sua vita è cambiata nel novembre del 2011 quando, da docente all’università di Stanford, decise di aprire le porte del suo seminario “Introduction to Artificial Intelligence” al mondo intero, gratis, attraverso internet. In pochi mesi, insieme al collega Peter Norvig, le sue video-lezioni online raggiunsero un pubblico inimmaginabile, fino ad allora, per un singolo corso universitario.
Da allora 23mila studenti, provenienti da 190 paesi diversi, hanno concluso il corso nei tempi previsti, e sono riusciti a superare l’esame finale, ottenendo un attestato. «Abbiamo insegnato intelligenza artificiale a più studenti noi due, che tutti i docenti di intelligenza artificiale del mondo. Questo corso ha avuto un impatto educazione più elevato di tutta la mia carriera». Thurn è l’ideatore dei MOOCs, i Massive Online Open Course (corsi online aperti di massa). Il suo esempio è servito da ispirazione a molti, in questi ultimi anni. Diversi portali sono nati recentemente, o hanno sviluppato le proprie funzionalità ed il proprio approccio seguendo la strada tracciata dall’ex professore della Stanford University.
Tra di essi c’è iversity. Nata a Berlino, lavora oggi in gran parte del mondo – ultimamente, sta sviluppando ad un percorso di partnership con alcune grandi università italiane. Ne abbiamo parlato con il Country Manager per l’Italia di iversity, Manuela Verduci.
Iversity: quando è nato il progetto e perché?
Dunque, iversity esiste già dal 2008 come piattaforma online dedicata al mondo accademico. Da ottobre 2012, ispirati dal fenomeno americano dei Massive Online Open Course, abbiamo deciso di concentrarci nella produzione e nell’offerta di corsi online di nuova generazione.
L’esempio di Thurn è stato rivoluzionario, lo possiamo dire?
Da quel momento le potenzialità offerte dai MOOCs ci sono diventate immediatamente evidenti: chiunque, da ogni angolo della terra, può permettersi adesso di seguire un corso dell’Università Stanford, gratis e con la possibilità di interagire con migliaia di studenti dai più disparati background culturali. Siamo convinti che si tratti di un “ciclone inarrestabile”, come lo definì il Tullio De Mauro parlando di noi su Internazionale, e vogliamo contribuire a ridefinire i paradigmi dell’istruzione europea e non solo. C’è infatti alla base del progetto anche una riflessione sui problemi del nostro sistema universitario, sull’efficacia delle tradizionali lezioni frontali, sulla strutturale mancanza di interattività, sul bisogno crescente di internazionalità della nostra generazione.
Qual è il valore aggiunto delle lezioni online per lo studente, oltre a quello – evidente – della gratuità e della comodità di fruizione?
Come dicevo, si tratta di ripensare il formato della lezione classica. La struttura dei MOOCs è pensata per massimizzare l’interattività e l’engagement degli studenti. I MOOCs non sono semplicemente lezioni filmate e riproposte online: la classica lezione è spezzata in brevi video (dalla durata di 5-10 minuti circa, standard definiti in base alla durata media di un alto livello di attenzione), alla fine dei quali (o addirittura durante i quali) gli studenti sono chiamati a mettersi alla prova con piccoli quiz intermedi, grazie ai quali possono ricevere immediatamente un feedback. Prima di passare al video successivo dunque, gli studenti possono verificare subito se hanno un’idea chiara di quanto detto fino ad ora. Tutto nel design dei MOOCs che abbiamo in mente è rivolto a rendere l’esperienza dell’apprendimento più efficace e meno noiosa, attraverso gamification e feedbacks immediati, per esempio.
Come reagiscono le università italiane di fronte alla possibilità di collaborare con voi: entusiasmo, timore o qualcos’altro?
C’è sicuramente un certo timore nei confronti di un fenomeno così nuovo e sconosciuto, e una certa resistenza conservatrice, tipica delle istituzioni. Vero è però, che mi sono imbattuta in moltissime persone entusiaste di collaborare al progetto, che stanno adesso lavorando insieme a me per avviare discussioni pubbliche e arrivare ad aprire un dialogo con le istituzioni universitarie. Un mondo accademico lungimirante sarebbe perfettamente consapevole che è necessario assecondare un fenomeno del genere per rendere le nostre università ancora attraenti per gli studenti di tutto il mondo. MOOCs di qualità costituirebbero una vetrina dell’eccellenza dell’accademia europea nel mondo: se fossi un’università italiana, investirei immediatamente in questa direzione.
Che cosa può spingere, invece, un professore a parteciparvi?
Innanzitutto, la possibilità di insegnare a decine di migliaia di studenti da tutto il mondo. È sicuramente una grande opportunità per la carriera accademica. Un MOOC è come una pubblicazione, alla quale però hanno accesso potenzialmente tutti. Inoltre, la possibilità di ricevere feedback immediati è attraente non solo per lo studente, ma anche per il professore, che può finalmente interrogarsi sull’efficacia dei metodi di insegnamento e migliorarsi come docente.
Qual è stata la tua esperienza universitaria e cosa di quel bagaglio hai portato dentro al progetto iversity?
Il team di iversity viene da ambiti disciplinari molto diversi tra loro: io ho studiato filosofia, una delle facoltà spesso giudicate “inutili”. Devo dire di non essermene pentita. Sono arrivata a Berlino con tanta voglia di scoprire che cosa l’università ne aveva fatto di me, se sarei stata in grado di inserirmi nel mondo del lavoro agilmente e fare quello che amo. Ha funzionato. Faccio un lavoro stimolante dal punto di vista intellettuale, sono felice e piena di entusiasmo. Ho la sensazione bellissima, forse ingenua di stare lavorando a ridisegnare i paradigmi dell’istruzione contemporanea.
Quali sono secondo te i principali ostacoli alla diffusione dell’online learning nel mondo?
Ogni rivoluzione incontra delle resistenze: le università sono tendenzialmente le più conservatrici tra le istituzioni. Confido però nella loro lungimiranza. Se atenei eccellenti come Stanford, Harvard, e Berkley si stanno concentrando nella produzione di MOOCs ci sarà un motivo. Le università europee hanno moltissimo da offrire dal punto di vista della qualità dell’istruzione universitaria, sarebbe un peccato se non si rendessero competitive nei confronti di quelle statunitensi.