Dal Kazakistan agli F-35, l’Italia si comporta da serva

Il Paese in imbarazzo in politica estera

Nessuno pretende che l’Italia abbia una politica da grande potenza, perché non le compete. “Potere” significa capacità di influenzare il comportamento di altri paesi, e non spetta all’Italia dettare condizioni per pacificazioni internazionali, interventi militari, grandi accordi di pace che abbiano un qualche valore reale. L’Italia sta però peccando nel senso opposto: sta rinunciando alla sovranità politica. L’Italia ha rinunciato ad avere un ruolo internazionale, che si tratti di “hard” power o perfino di “soft” power.

Tutti gli imbarazzi recenti della politica italiana hanno a che fare in qualche modo con la politica estera. Il sequestro di stato di Alma Shalabaeva, moglie dell’ex-oligarca kazako Mukhtar Ablyazov, è un problema di politica estera. La dabbenaggine nella gestione del caso Marò in India, con tutta la sua serie di mosse avventate, è un problema di politica estera. La questione dell’ordine dei caccia F-35 è un problema di politica estera: gli aerei sono utili a livello militare, ma è ormai chiaro che nel consorzio produttivo l’Italia non ha voce, e non può obiettare a scelte produttive e aumenti di costi. Aggiungiamo qui un tocco da opera buffa, quello del Calderoli che, preso da infantile stupore, rintraccia in particolari pigmentazioni del derma sconcertanti affinità con primati asiatici dall’inusuale aspetto. Non è tanto l’episodio in se a far imbestialire – merita solo pena e schifo – ma la reazione del “potere politico”, che ha ritenuto il Calderoli degno di rimanere a rappresentare l’Italia in Parlamento.

La débâcle internazionale dell’Italia è quindi totale: intacca i servizi segreti e la loro gestione, intacca i rapporti militari, intacca i rapporti diplomatici, intacca anche l’aspetto culturale del paese all’estero. La percezione dei paesi esteri è che l’Italia sia diventata ormai una sorta di paesino africano da epoca post-coloniale, in cui basta trovare la sponda necessaria tra tanti gruppi in conflitto, e si può fare qualsiasi cosa. Ce n’erano state avvisaglie negli anni scorsi, tra sequestro di Abu Omar e gestione degli aspetti giudiziari dopo la strage del Cermis e l’uccisione di Nicola Calipari alla liberazione di Giuliana Sgrena. I recenti scandali sono solo una conferma ulteriore della deriva presa da paese. È anche normale che sia così: in un’epoca di post-realismo, la politica internazionale esprime e protegge gli interessi dei gruppi di potere. Se c’è un sistema politico funzionante, la politica estera può avere personalità e può avere un senso. Se il potere domestico è frammentato, anche la politica estera sarà frammentata.

Tale deriva ha un’implicazione fondamentale: pensavamo che la decadenza politica italiana ci avrebbe portato a diventare come il Brasile (Giuliano da Empoli docet), invece la tendenza attuale è verso la tribalizzazione in senso africano. Come in una “Somalia europea”, gli snodi di potere sono appannaggio di particolari tribù, che gestiscono l’occupazione senza alcun obbiettivo di cooperazione con le altre tribù. Che si tratti di budget statali, apparati produttivi, impiego di forze di sicurezza, le tribù operano troppo spesso in nome proprio. Si osservi cosa è successo dopo le “crisi internazionali” ora citate. È emerso che l’ex-ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata aveva provato il colpo di mano con i marò in base a scelte personali – e Sant’Agata è rimasto al suo posto, pur se per poche settimane prima delle elezioni seguenti. L’attuale ministro degli Esteri Emma Bonino dopo il caso kazako ha convocato l’ambasciatore del paese, e questi ha fatto rispondere di “trovarsi in ferie” (roba da andarlo a trovare sotto l’ombrellone). Sugli F-35 non sappiamo bene chi sia responsabile dello stato italiano nel consorzio – e basti questo, a 200 milioni di euro per ogni giocattolo.

L’Italia non deve avere una politica da grande potenza: accontenterebbe già se riuscisse a fare rispettare qualche principio di sovranità nazionale. La Gran Bretagna di certo non è una grande potenza, ma dal 2011 ha accettato la richiesta di asilo politico del kazako Ablyazov. Alla base ci sono ovviamente gli interessi finanziari, ma Londra con questa mossa riesce a conservare una correttezza politica ineccepibile. Perché i problemi italiani non sono ormai solo politici, ma amministrativi. Se accettiamo che l’Italia ha interesse a proseguire i buoni rapporti con il governo kazako, ha comunque gestito malissimo l’operazione – e da qui qualche personalità tecnica si è iniziata a dimettere. Se sono stati redatti male e ancor peggio controllati i contratti sui caccia, si tratta di un problema di gestione. Se Calderoli rimane al suo posto, significa che la gestione interna del sistema di potere politico è in stallo: l’alternativa unica possibile sarebbe quella di accettare l’odio razziale del Calderoli come buffa gag da ripostiglio di Zelig.

È comprensibile come l’Italia, avendo ormai denunciato debolezze di questo tipo, non sia in grado di esprimere opinioni di peso in merito alle agende più importanti, come quella dei rapporti europei. La Germania sa bene che – purtroppo – l’esecutivo attuale manca ancora della stabilità necessaria per coordinare vere prese di posizione dell’Italia. Il coraggioso Enrico Letta che a maggio incontra Angela Merkel a Berlino e accenna all’insostenibilità delle politiche di austerity ha provocato uno spostamento millimetrico del sopracciglio sinistro del cancelliere, ma poi l’incidente è rientrato.  La Germania, così come tutti gli altri paesi che si stanno approfittando dell’Italia, si è accorta dello stato di pretorianismo e tribalizzazione della politica nostrana. Nessuna azione estera sarà credibile finché perdurerà questo stato. Purtroppo, neanche alcuna discussione in merito a “concetti di politica estera” per il paese sarà credibile, finché durerà questo stato di cose al Parlamento. Non è possibile che la politica italiana si limiti a fare da prezzolato concierge alle pretese del mondo. Il nostro paese non è un albergo, suvvia. 

Twitter: @radioberlino

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