Non lo dice ufficialmente, ma il modello che ha in testa per Rcs, la società editrice del Corriere della Sera, è quello della public company. A Diego Della Valle piace sparigliare le carte, e anche stavolta, nella conferenza stampa convocata a metà pomeriggio per rendere note le sue decisioni in merito al dossier, non è stato da meno. In estrema sintesi: il patron di Tod’s non solo farà la sua parte sottoscrivendo l’aumento di capitale all’ultimo giorno utile (domani), ma si renderà disponibile anche per rilevare parte dell’eventuale inoptato e a salire ancora dall’attuale 8,7% addirittura oltre il 20 per cento. Il tutto a condizione dello scioglimento del patto di sindacato, di un cambio parziale del piano industriale, di un nuovo consiglio di amministrazione. L’obiettivo è arrivare a un nocciolo duro di 4-5 soci – magari imprenditori che campano di mercato e non di concessioni (chiaro il riferimento ai Benetton) e possibilmente italiani – tutti con quote non superiori al 10 per cento.
L’imprenditore marchigiano è uscito allo scoperto dopo aver ricevuto rassicurazioni da parte degli altri soci – tranne Fiat – sui suoi desiderata. A detta di Mr. Tod’s sia Enrico Cucchiani, consigliere delegato di Intesa, che Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, sarebbero sulla sua stessa lunghezza d’onda. Un «positivo interesse» ad andare avanti insieme che tuttavia vedrebbe fredda Piazzetta Cuccia sull’ipotesi di un cambiamento del piano post aumento, almeno ufficialmente, così come un cambiamento dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, del quale Della Valle ha specificato oggi di non aver mai chiesto la sua testa. Più importante, come ha spiegato nella presentazione del piano industriale di Mediobanca lo stesso Nagel, e come ha ribadito lo stesso Della Valle, superare la logica dei patti di sindacato. Oggi, intanto, Pirelli e Mediobanca hanno comunicato di aver sottoscritto i diritti d’opzione relativi alle azioni sindacate, per un peso rispettivamente del 5,3 e del 15,4% nella compagine societaria.
«La Rizzoli ha problemi serissimi e va gestita da un gruppo di azionisti di cui le azioni si contano e non si pesano, gestire l’azienda con i patti di sindacato è ridicolo», ha detto ancora Della Valle. Un punto sul quale si è espresso positivamente anche il presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo, Gian Maria Gros Pietro, poche ore dopo: «Si è aperta un’epoca in cui nelle aziende assume nuovamente maggiore importanza il peso delle azioni possedute. Credo sia un fatto positivo, una evoluzione che noi salutiamo favorevolmente». Il tempo in cui l’imprenditore sbertucciava Giovanni Bazoli definendolo «arzillo vecchietto unto dal signore» sembra evidentemente acqua passata.
A Della Valle è invece rimasto il dente avvelenato nei confronti di John Elkann, al quale nel corso di una puntata di Servizio Pubblico aveva rivolto parole di fuoco: «È un ragazzino e non ha capito che è cambiato il mondo». Stavolta non gli è andata giù la telefonata con Napolitano una volta rastrellato il 20% di Rcs a prezzi stracciati. Episodio definito «una sceneggiata di cui il Paese non ha bisogno». «Se hanno mezz’ora di tempo potrebbero telefonare a Pomigliano o andare a trovare i lavoratori all’Ilva di Taranto», ha poi osservato. Un contrasto antico, quello tra Elkann/Marchionne – leggendario il suo «costruire automobili non è come fare scarpe» – e Della Valle, che non è mai stato sanato.
Eppure non è chiaro quanto il ruolo di contraltare allo strapotere di Fiat – «tutto serve meno qualcuno che in questo periodo metta sotto pressione la stampa», ha detto ancora Della Valle – sia di maniera e quanto di sostanza. Chi lo conosce bene sa che nutre una gran voglia di cambiare il paese mandando a casa «quelle 200 persone» che hanno il potere vero in Italia, pur non avendo alcuna contezza di come viva la gente normale. Tuttavia non si capisce perché non si sia mosso prima, sedendo comodo nel “salotto buono” da due decadi. C’è insomma qualcosa che sfugge. Rispondendo a una domanda se avesse intenzione di salire oltre il 30%, ha per esempio affermato: «Non siamo finanzieri ma neanche dei fessacchiotti». Neanche gli altri però.
Twitter: @antoniovanuzzo