Aveva compiuto cent’anni da poco, Maria Pasquinelli, in marzo. Se n’è andata nella casa di riposo di Bergamo dove viveva, dopo quanrant’anni di silenzio. Eppure c’era stato un tempo in cui Maria Pasquinelli aveva fatto parlare molto di sé. Anzi, moltissimo.
Il 10 febbraio 1947 la donna spara tre colpi di pistola alla schiena del generale britannico Robert W. De Winton, uccidendolo. L’uomo era il comandante alleato di Pola, città istriana assegnata all’Italia nel 1918 che ora stava per passare alla Jugoslavia. Anzi, proprio quel giorno di febbraio si stava firmando a Parigi il trattato di pace che avrebbe sancito l’assegnazione a Belgrado di quell’ultima exclave italiana in Istria (il resto della penisola, salvo le zone A e B attorno a Trieste, era già diventato Jugoslavia).
«La mattina del 10 febbraio 1947, verso le ore 9.00, mi trovavo a cinquanta metri dal quartier generale britannico, in un punto da cui potevo osservare il cambio della guardia. Alle ore 9.30 vidi arrivare l’automobile del comandante e, immediatamente, mi avviai verso l’edificio. La pistola era nascosta all’interno di una delle maniche del mio cappotto. Nell’avvicinarmi, notai che il generale stava parlando con i soldati schierati. Gli sparai tre colpi alla schiena, a bruciapelo. Ferito, iniziò a barcollare, mentre i quattro militi si dileguavano all’interno della caserma. Pochi secondi dopo, vidi arrivare un soldato britannico con il fucile puntato verso di me. Si avvicinò, ma sembrava incerto se sparare o meno. Lasciai cadere la pistola a terra e aspettai di essere arrestata», dichiarerà la donna al capitano del servizi segreti britannici che la interrogava.
LEGGI ANCHE: Trieste, quando erano gli italiani a fare pulizia etnica
Maria Pasquinelli è fiorentina, insegnante, frequenta i corsi di mistica fascista e si arruola come crocerossina volontaria in Libia. Nel 1941 lascia l’ospedale dov’è in servizio, si rade la testa e cerca di raggiungere la prima linea travestita da soldato. Viene rimpatriata e nel 1942 va a insegnare italiano a Spalato, dal 1941 annessa all’Italia, dopo l’invasione della Jugoslavia da parte di Regio Esercito e Wehrmacht. La città damata (oggi Split, in Croazia) all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 è teatro di uni dei primi eccidi di italiani che poi prenderanno il nome di “foibe”. Maria Pasquinelli, arrestata e liberata dai primi tedeschi entrati a Spalato, si rifugia a Trieste dove entra in contatto con la X Mas.
L’esodo della popolazione di lingua italiana da Istria, Fiume e Dalmazia la convince ad agire, e matura l’idea di uccidere il comandante britannico. Dopo l’arresto viene processata a Trieste, città in quel periodo sottoposta al Governo militare alleato. I tempi sono quelli della giustizia britannica e non italiana, e già due mesi dopo, il 10 aprile, si arriva alla sentenza: condanna a morte.
LEGGI ANCHE: Rab, la Auschwitz dimenticata dagli italiani«Ringrazio la corte di tutte le cortesie usatemi; ma dichiaro fin da ora che mai firmerò domanda di grazia agli oppressori della mia terra», dichiara dopo aver ascoltato il verdetto. Il giornalista della Stampa che assiste al processo scrive: «Veste esattamente com’era abbigliata al momento in cui compì il suo gesto: tailleur grigio chiaro di lana e mantello rosso mattone, pure di lana. Il suo viso appare atteggiato a serenità estrema». La pena di morte viene poi commutata in ergastolo e Maria Pasquinelli esca dal carcere nel 1964. Da allora vivrà a Bergamo dov’è morta il 3 luglio. Quasi non rilascia interviste, salvo rare eccezioni, come quella raccolta dalla giornalista fiumana Rosanna T. Giuricin e riportata nel libro La giustizia secondo Maria (Del Bianco). Ma nemmeno qui chiarisce i tanti misteri che circondano la sua storia. Li lascia piuttosto immutati, per esempio ribadendo di aver trovato la pistola con cui avrebbe sparato a terra, per caso, a Milano. E dice anche che avrebbe dovuto premere il grilletto non lei, ma un certo “Giuliano”; chi questo Giuliano fosse mai si è saputo e probabilmente mai si saprà.
La donna diventa immediatamente un’eroina degli esuli istriani che hanno sempre esaltato la sua “italianità”. Trieste viene ricoperta da manifesti con scritto: «Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli» e lo slogan rimane una sorta di mantra ripetuto nei decenni. Alla sua morte Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani ha detto di lei: «Luminoso esempio di patriottismo, pagò nell’isolamento, abbandonata anche dalla associazioni ma non dagli esuli che la ricorderanno per sempre». Interessante notare che Wikipedia italiana alla prima riga la definisce «insegnante italiana», Wikipedia in inglese invece nello stesso punto scrive «fascista italiana». Sul fatto che la Pasquinelli fosse fascista convinta non esiste dubbio alcuno, né lei l’ha mai smentito.
LEGGI ANCHE: Ecco le Auschwitz italiane di cui non sappiamo nullaRimangono numerosi interrogativi mai chiariti attorno all’assassinio del generale De Winton. Anzi, di recente se ne sono aggiunti di nuovi, dopo che Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino hanno cosultato documenti appena resi pubblici nei National Archives britannici.
È risultato chiaro che i servizi segreti di Londra sapevano benissimo cosa Maria Pasquinelli sarebbe andata a fare, la conoscevano, la seguivano, e non hanno fatto nulla per fermarla. Il generale De Winton più che dalla pistola di Maria è stato ucciso dall’inazione dei suoi compatrioti. Perché? Non si sa. Nel 2009 Pietro Spirito, giornalista del Piccolo, ha intervistato il figlio di Antonio Usmiani, ex ufficiale di collegamento tra i servizi italiani e britannici. Questi aveva avvisato che si stava preparando un attentato e quando il generale viene effettivamente ucciso, si infuria. Ma il comandante britannico, James Angleton, gli ribatte: «Ci sono cose che nemmeno tu puoi capire». Non solo, anche l’Udba, la polizia segreta jugoslavia, sapeva, e pure gli agenti del maresciallo Tito rimangono con le mani in mano.
Azione di CasaPound al Cimitero di Bergamo: «Onore a Maria Pasquinelli»
Il punto è che non capiamo nemmeno noi, oggi, a 66 anni di distanza. Gli inglesi hanno deliberatamente sacrificato un loro generale per “rimediare” all’orrida strage di Vergarolla, avvenuta qualche mese prima? Il 18 agosto 1946 esplode un deposito di munizioni nella baia di Vergarolla, vicino a Pola, mentre di svolge una manifestazione sportiva. Le vittime sono un’ottantina, svariate decine i feriti. Non si saprà mai chi avesse innescato l’esplosione, ma l’opera da segugi di Casarrubea e Cereghino ha confermato quel che si era sempre sospettato: dietro la strage c’era l’Udba che evidentemente voleva creare un clima di terrore a Pola. I britannici in questo modo avrebbero fatto una sorta di 1-1 palla al centro tra italiani e jugoslavi prima del passaggio di sovranità della città istriana?
L’altro aspetto mai chiarito è cosa si attendesse Maria Pasquinelli dal suo gesto. Aveva avuto contatti con Junio Valerio Borghese, è molto più probabile che la pistola gliel’avesse fornita qualcuno della Decima piuttosto che fosse stata trovata a terra per caso. Dopo aver sparato, Maria rimane immobile, si aspetta di essere uccisa, cerca il martirio, che però non arriva. L’assassinio doveva essere il segnale per un’insurrezione generale in Istria? Questo è un capitolo sconosciutissimo e mai studiato, ma si sa che l’Esercito italiano lasciò in Istria una rete d’informatori (ripetendo più o meno quanto accadde nel Friuli e nel Veneto occupati dagli austroungarici nel 1917-18) e ci furono anche alcuni attentati anti jugoslavi da parte di italiani rimasti nella penisola. L’Udba vigilava attentamente e ci furono anche dei processi.
Purtroppo lo scarso interesse per le vicende dei confini orientali e l’assoluta ignoranza del serbocroato da parte degli storici italiani, hanno fatto sì che questo misterioso aspetto sia con ogni probabilità rimasto sepolto negli archivi di Belgrado.
Rimane il fatto che, da qualsiasi punto di vista la si guardi, Maria Pasquinelli era un’assassina. Non è certo la prima volta nella storia che qualcuno trasforma un assassino, effettivo o potenziale, in un eroe (senza spostarsi tanto lontani, basti pensare allo sloveno Guglielmo Oberdank, che gli italiani trasmutano nell’eroe Gugliemo Oberdan perché voleva uccidere l’imperatore Francesco Giuseppe). Non sarà nemmeno l’ultima, anche questo è certo.
Twitter: @marzomagno