Germania, l’Eldorado dei disoccupati italiani. Durerà?

Oggi a Berlino il vertice sul lavoro

Non è il sogno biblico della terra promessa, ma una speranza di un presente migliore. Di un presente, perché i giovani, che emigrano o cercano di emigrare in Germania – anche se molti preferiscono la definizione “trasferimento temporaneo” o “fare un’esperienza all’estero” – al futuro non ci pensano proprio. Si concentrano sulla propria fotografia istantanea, sul come vorrebbero essere oggi. E cioè lontano da casa, preferibilmente in Germania, dove, pare, sia ancora possibile trovare un lavoro, un’opportunità per superare la frustrazione dell’attesa e cominciare a vivere il proprio presente.

Berlino

Secondo l’istituto tedesco di statistica, Deistat, fra il 2011 e il 2012, 42mila italiani si sono trasferiti in Germania. Ad emigrare sono soprattutto giovani, fra i 20 e i 40 anni, e provengono dal Nord d’Italia. Secondo l’ufficio anagrafe dei residenti all’estero del ministero degli Affari Esteri, Aire, nel 2012 ad andarsene sono stati soprattutto i lombardi (13mila) e i veneti (7.456), più numerosi persino dei siciliani, che sono stati 7.003. Meta preferita? La Germania, dove ci sono complessivamente 647.237 italiani, che hanno cominciato ad emigrare verso il suolo germanico negli anni Cinquanta: la comunità più numerosa dopo quella turca.

Il boom degli emigrati italiani (30mila nel 2011, 12mila nel 2012) non si registrava da 17 anni, ma questa cifra calcola solo chi ha cambiato residenza e si è iscritto all’Aire, mentre non fotografa il flusso di chi ogni giorno sale su un volo low cost per raggiungere la Mecca berlinese o raggiungere la Baviera a bordo di un’automobile grazie al car-sharing per trovare un lavoro qualsiasi, qualificato o no, non importa. Inseguendo la propria speranza attraverso un viaggio di esplorazione, l’Erasmus, una borsa di studio, uno stage aziendale o un soggiorno di studio. Secondo i dati del portale europeo di mobilità professionale, Eures, dalla Germania, che ha un tasso di disoccupazione basso, il 5,4%, sarebbero partite 300mila offerte di lavoro per ingegneri, operatori turistici, tecnici informatici, medici e infermieri. E questo spiegherebbe l’aumento percentuale degli studenti italiani che vanno a studiare in Germania (+36%) o delle borse di studio: addirittura +80%. 

Francoforte sul Meno

L’esodo verso la Germania, però non è ancora quantificabile, se non empiricamente attraverso il tam-tam, i siti internet, i gruppi su facebook, le migliaia di richieste e di appelli che si trovano in rete. Oppure andando nelle scuole, che offrono corsi di lingua tedesca. E infatti non è un caso che gli allievi milanesi al Goethe Institute siano aumentati nel 2013 del 22%. E non per il piacere di scoprire la lingua di Goethe o arricchire il proprio bagaglio culturale. Ai corsi ci vanno giovani che sperano di trasferirsi in Germania. Studenti universitari, ma anche professionisti rimasti senza lavoro. Valerio, studente di economia, che fa un corso intensivo di tedesco perché sa già che la sua laurea, semmai la otterrà, non servirà a nulla, ci va tutte le sere dopo aver scoperto il sito tedesco www.jobofmylife.de che promette un apprendistato in qualche azienda tedesca. A fare cosa ancora non lo sa, ciò che importa per lui è levare le tende prima di finire nelle statistiche della disoccupazione giovanile. 

«Per ora non mi hanno dato alcuna certezza, ma appena mastico la lingua, parto e ci provo», afferma. «Per andarmene sono disposto anche a fare il falegname», spiega a Linkiesta. Dario, 31 anni, invece è geometra. Ha lavorato per diversi anni con contratti a progetto in un’azienda, che costruiva gallerie autostradali finché è rimasto disoccupato «per colpa delle norme dell’ex ministro Fornero sui contratti a termine», dice concitato. Dopo numerosi e vani tentativi di trovare un’occupazione in aziende simili in Lombardia, si è arreso. E viene qui al Goethe Institute, tutte le sere, per imparare in fretta il tedesco e poter mandare il proprio Cv alla varie agenzie, private e governative, che offrono lavoro in Germania a mano d’opera qualificata attraverso quella che sembra una massiccia operazione di marketing o di campagna acquisti.

Mosbach (Baden-Württemberg)

E ancora: Andrea, 30 anni, ingegnere in una multinazionale, è angosciato perché il suo contratto scade fra pochi mesi, e ogni notte sogna sempre lo stesso incubo. E cioè di perdere il lavoro, come è già successo a molti colleghi. «A volte te lo dicono il giorno prima, che il tuo contratto non verrà rinnovato, e io non posso vivere in balia di questa paura. Vorrei imparare il tedesco e andare al lavorare alla Bmw», spiega, con un’espressione imbarazzata, che tradisce quel velo di angoscia che accomuna tutti gli studenti dei corsi serali del Goethe Institute.

Indifferenti alle promesse del Governo, nessuno di questi giovani pronti a partire anche senza alcuna garanzia di un lavoro, crede agli annunci del premier Enrico Letta sui fondi e i provvedimenti presi per ridurre la disoccupazione giovanile. Loro sono solo ansiosi di lasciarsi alle spalle una porta spalancata sull’abisso. Giuliana invece un lavoro ce l’ha, in banca. «Eppure non mi fido. Non mi fido, che possa durare. E nel dubbio, studio tedesco, per avere nuove prospettive». Anche Julia ha un lavoro, come grafica alla Disney. E studia tedesco perché «non si mai», dice. E anche per un paradosso creato dall’esodo giovanile verso la Germania. «Quasi tutti i miei amici lavorano in campo artistico e si sono trasferiti a Berlino. Penso che prima o poi me ne andrò per un solo motivo: perché qui non ho più amici, sono partiti tutti». Anche se poi, a differenza di ciò che appare dalla campagna marketing tedesca, sono pochi quelli che ce la fanno, tanti quelli che tornano indietro scornati, moltissimi quelli che non riescono a partire perché non padroneggiano il tedesco o non trovano ciò che cercano.

Mannheim

Ormai però è troppo tardi. Il tam-tam è partito e l’esodo di giovani che emigrano in Germania è sempre più consistente. Alimentato da leggende di ogni tipo, come succedeva in Albania, quando prima di salire sui gommoni a Valona, nel 1991, gli albanesi nutrivano le proprie speranze, guardando la televisione italiana. Certo, gli italiani che partono, soprattutto dal Nord, sono cittadini europei, figli della globalizzazione, figli di una diversa disperazione, e possono trincerarsi dietro un “Voglio fare un’esperienza all’estero”, ma forse la sostanza non cambia. Vogliono partire tutti perché considerano La Germania il Paese delle Meraviglie, dove l’incredibile si fa possibile (e garantito): corsi di studio, posto fisso, agevolazioni per giovani coppie con figli, sussidio di disoccupazione solo dopo sei mesi di lavoro e aiuti (reali) per trovare nuove occupazioni. In parte vero, in parte falso, visto che nessuno ha ancora calcolato il flusso di rientro di chi non ce l’ha fatta.

Questo esodo infatti ha molte facce. Quello del ceto medio, colto, di giovani che puntano verso Berlino, diventata la Mecca per  chi vuole sperimentare, aprire start up digitali, lavorare nel design, nel teatro, suonare in una band, aprire gallerie d’arte. E poi c’è l’emigrazione intergenerazionale, interclassista, formata da infermieri, operatori turistici, cuochi, camerieri, periti di ogni tipo e genere, commessi, e addirittura medici di 40-50 anni, che non trovano più un’occupazione in Italia. Basta farsi un viaggio nella Rete, per rendersene conto. Sul sito www.viviallestero.com per esempio si trovano diverse offerte di lavoro, soprattutto in Baviera. E l’indicazione di non inserire nei commenti  le offerte di lavoro perché non verranno prese in considerazione non è servita a molto. Fra i commenti ci sono centinaia di appelli angosciosi, che possono essere considerati l’unità di misura della regressione del nostro Paese. Come questi: 

Chissà quanto e come la Germania sia in grado di assorbire tutte le richieste, di offrire una sponda reale ai sogni, le ambizioni, le necessità di questo esodo contemporaneo, alimentato dalla campagna marketing di aziende e organismi governativi, i cui rappresentanti nel Nord d’Italia scuotono la testa e mi chiedono  «Ma se vanno via i migliori, cosa ne sarà del vostro Paese?». Prima o poi verrà anche il momento di quantificare il flusso di rientro, di chi torna indietro (e infatti è già nato un blog per espatriati che si chiama www.iotornose.it). In ogni caso colpisce leggere tutti gli appelli di giovani, disposti a fare quei lavori, che solo fino pochi anni fa in Italia venivano a farli gli immigrati. O sentire il presidente della camera di Commercio italiana per la Germania di Lipsia, Ronny Seifert, che dice a Linkiesta: «Qualche azienda ci chiede di cercare ingegneri italiani, ma recentemente ho avuto abbiamo ricevuto una richiesta anche per autisti».  «Autisti? E come mai vogliono autisti italiani?», chiedo, diffidente. «Le aziende sanno che da voi c’è molta disoccupazione», risponde laconico Herr Sofert.  Anche se probabilmente la ragione è che, considerati gli standard dei salari minimi italiani, un autista italiano può essere conveniente.

Certo, Almalaurea, che ha un database con curriculum di quasi 2 milioni di laureati in Italia, ha promosso un’iniziativa con la Camera di commercio italiana per la Germania ed è riuscita a far partire alcuni laureati. Eppure, come tutti gli esodi, che si alimentano e si gonfiano, il rischio bolla che può scoppiare è sempre in agguato. Soprattutto a Berlino, dove invece è in atto un esodo intellettuale di universitari, artisti, designer e smanettoni della Rete, e i media tedeschi hanno già lanciato l’allarme per via delle migliaia di  giovani italiani, spagnoli e greci, arrivati in cerca di una casa , un lavoro, e un sussidio di disoccupazione. Un’invasione pacifica, che preoccupa soprattutto quelli che a Berlino hanno trovato il proprio  pezzo di presente.

Monaco di Baviera

Come ci ha raccontato Fabiola, ligure, 25 anni, arrivata a Berlino nel 2011. Laureata in Disegno Industriale, ha studiato al Politecnico di Milano Interior Design. «Conoscevo già Berlino e mi era rimasta nel cuore», mi ha scritto vie e-mail. «Così sono venuta qui e ho iniziato un tirocinio in uno studio di design, dove ora ho un lavoro. E in poco tempo mi sono sentita a casa. Berlino è senza ombra di dubbio una città a misura d’uomo, anche se purtroppo negli ultimi anni sta cambiando. Ora stanno arrivando in tanti, i prezzi stanno aumentando, è quasi diventato impossibile trovare casa e sta diventando difficile trovare lavoro per i nuovi arrivati. La maggior parte dei ragazzi che vengono a Berlino sono artisti che arrivano qui perché questa città offre molte opportunità, ma i pretendenti sono davvero un numero sproporzionato». 

Alessandro Contini per esempio,  30 anni, interaction designer, un geek boy torinese, che è andato a Berlino e ha trovato in poco tempo un contratto a tempo indeterminato, dopo un colloquio informale in un pub, davanti a una birra, e ora lavora in un team internazionale di una start up digitale, HowDo. «Dicono che Berlino sia come la Silicon Valley per il numero di start up digitali, ma noi qui diciamo che per ora è ancora una Alley, un viale», ironizza. Anche a lui Milano, dove viveva, stava stretta, mentre a Berlino è riuscito a salire sull’ascensore sociale, che a Milano era sempre fermo, guasto al piano terra. Ma, come sempre, c’è un ma. «A volte mi sento come se fossi in fuga», ammette, «Insomma un emigrante, anche se a differenza dei nostri nonni, io ho potuto scegliere. Spesso però penso a quelli, che hanno avuto il coraggio di resistere, di lottare per affermarsi in Italia. E conosco alcuni che stanno rientrando perché vogliono vincere la sfida a casa loro. E un po’ li invidio, anche se io non tornerei mai indietro. E poi cominciamo a essere troppi…». E gli fa un certo effetto vedere che le compagnie telefoniche fanno campagne pubblicitarie con i volti degli immigrati italiani.  Anche lui si chiede per quanto potrà durare. E per quanto tempo potrà difendere quel pezzo di presente che sognano, quelli che fanno la fila al consolato generale della Germania, in via Solferino a Milano, con sguardi smarriti per chiedere informazioni su come fare a emigrare. O quelli coi nervi fragili, che frequentano i corsi di tedesco e, interpellati, mi guardano come per dire: «E noi, ce la faremo?». 

Twitter: @GiudiciCristina

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