Ci risiamo. La Grecia è di nuovo in emergenza. Colpa del debito pubblico, che non ha una dinamica di discesa come da attese, e degli sforzi del governo guidato da Antonis Samaras, troppo poco focalizzati all’uscita del Paese dalla peggiore recessione della sua storia. La troika, composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue, potrebbe quindi decidere di frenare o addirittura stoppare l’erogazione degli aiuti. E si torna a parlare di una nuova svalutazione dei bond governativi ellenici, questa volta quelli in mano ai creditori pubblici. Ma non prima del 2014.
A lanciare il nuovo allarme sui conti pubblici ellenici è Market news international (Mni), l’agenzia di stampa di Deutsche Börse. Citando fonti della Commissione europea – che fa parte della troika – Mni spiega che attualmente non ci sono le condizioni per il rilascio della prossima tranche di aiuti, prevista in agosto e pari a 8 miliardi di euro. Al massimo, potrebbero arrivare due miliardi di euro, quanto basta per evitare che Atene finisca i soldi in cassa. Secondo fonti diplomatiche tedesche contattate da Linkiesta, è grande il disappunto dei funzionari della troika, che in questa settimana valuteranno i progressi fatti dal governo Samaras. «Tutti gli indizi lasciano intendere che molti obiettivi non sono stati raggiunti», spiega il diplomatico. Tre i punti fondamentali da discutere: il settore pubblico, quello previdenziale e le privatizzazioni. «Le prime indicazioni lasciano vedere dei progressi, alcuni anche significativi, ma si tratta di gocce in un mare di inefficienza», fa notare il diplomatico tedesco. È facile quindi che la troika, alla conclusione della missione in corso, chieda ad Atene uno sforzo maggiore.
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Il debito pubblico resta uno dei capitoli più controversi. L’obiettivo del Fondo monetario internazionale è quello di riportarlo al 120% del Pil entro il 2020. Un target forse troppo ambizioso, dato che a fine 2013 sarà probabilmente più vicino al 150% che al 140% previsto nell’ultima analisi sulla sostenibilità del debito condotta dal Fmi. Numeri che fanno tremare i polsi e che testimoniano tutta la precarietà della situazione finanziaria greca. «Non c’entra l’austerity, è una questione di interessi politici dell’attuale classe dirigente, che è la stessa che ha fatto piombare il Paese nel disastro», avverte un trader di Société Générale.
Infatti, negli ambienti bancari prende sempre più piede l’ipotesi di una nuova ristrutturazione del debito sovrano. Sarebbe la terza. Questa volta però si tratterebbe del debito detenuto dai creditori ufficiali. In pratica, l’Official sector involvement (Osi), che farebbe il paio con il Private sector involvement (Psi) che tanto ha fatto discutere negli ultimi due anni. Non esiste ancora nulla di confermato, ma le voci si rincorrono in modo insistente. Attualmente, stando ai dati di UBS, il debito greco è pari a 301 miliardi di euro. Il 67% di questo è in mano ai creditori pubblici. Di fatto, la Grecia è in mano a loro. La fetta maggiore, circa il 25%, sono le erogazioni dello European financial stability facility (Efsf) finora effettuate per il salvataggio del Paese. Poi ci sono i prestiti bilaterali dei Paesi membri della zona euro, i bond ellenici detenuti dalla Bce a seguito degli acquisti tramite il Securities markets programme (Smp), i titoli di Stato in pancia alle singole banche centrali nazionali e, infine, le erogazioni del Fmi.
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Non è un caso che nelle ultime settimane si sia parlato a livello ufficiale di ulteriori misure estreme per riportare il debito ellenico a un livello di sostenibilità. Il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha smentito che la Commissione europea possa appoggiare un’ulteriore ristrutturazione del debito, come invece propone il Fmi, in modo nemmeno troppo segreto. Contraria è anche la Germania. Il ministero tedesco delle Finanze ha spiegato che non ci sono ragioni per cui il Fmi possa chiedere un’altra svalutazione dei bond greci detenuti in portafoglio dai creditori di Atene. Il problema dell’Osi è solo politico. Se si aprisse la strada a questa possibilità, spiegano dalla Commissione europea, si aprirebbe un vaso di Pandora impossibile da richiudere. «Sarebbe troppo elevato l’azzardo morale, dato che per alcuni Paesi ci sarebbe un incentivo a convivere con un alto debito senza proseguire con le riforme strutturali necessarie e con il consolidamento fiscale che si è reso necessario negli ultimi anni», spiega una fonte della Commissione Ue a Linkiesta. Ecco spiegato il motivo per cui Bruxelles è così reticente ad applicare l’Osi. La Bce potrebbe anche accettare l’idea di applicare un haircut ai bond ellenici in portafoglio, ma dovrebbe poi fronteggiare le ire della Bundesbank di Jens Weidmann. Di massima, l’Osi non è visto come fumo negli occhi da Francoforte. Unico vincolo: che poi la Grecia si sforzi all’inverosimile negli impegni assunti coi partner internazionali.
Nonostante le smentite, nei corridoi delle banche d’affari sono quasi tutti certi che qualcosa succederà nel 2014. Il punto di svolta saranno le elezioni tedesche, previste per il prossimo autunno. Come spiega Lombard Street Research, «Angela Merkel non può permettersi di andare di fronte ai suoi elettori dicendo che si farà un’altra operazione di ristrutturazione del debito ellenico». La discussione riprenderà nel 2014. E con il Fondo monetario internazionale a spingere per altre svalutazioni, è facile che l’Osi venga applicato. Sarebbe la terza ristrutturazione in tre anni. Forse non l’ultima.
Twitter: @FGoria