I pullman italiani sono tra i più vecchi d’Europa

Dopo la tragedia in Irpinia

In Italia sei pullman su dieci hanno più di dieci anni. In Francia soltanto tre su dieci. Forse questo numero, calcolato dall’Anav – associazione nazionale autotrasporto viaggiatori, emanazione di Confindustria – si rivelerà decisivo per chiarire le cause dell’incidente sul bus avvenuto domenica sera sulla A16. Al netto delle responsabilità individuali e aziendali, e delle condizioni del manto stradale tutte da verificare, qual è lo stato di salute del settore? Chi ci lavora, quali le regole e qual è l’impatto della crisi? Il regolamento comunitario 1073/2009, che disciplina il trasporto internazionale di persone con autobus, divide il comparto in tre categorie: servizi “regolari” con frequenza, itinerario e fermate prestabilite; servizi “regolari specializzati” rivolti a specifiche categorie di passeggeri (come studenti, lavoratori, ecc.), e infine servizi “occasionali”.

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L’unica radiografia dei servizi “occasionali” in Italia finora mai realizzata è quella commissionata nel 2011 da Anav/Confindustria al centro Hermes di Torino (facoltà di Economia del Piemonte Orientale), da cui si evince che il “trasporto turistico e noleggio autobus con conducente” impiega 24mila dipendenti per 3.700 aziende (1.500 al Sud) per un parco di 30mila autobus (in media 7 per ogni ditta), che percorrono 1,2 miliardi di km l’anno e generano un fatturato aggregato di 2 miliardi di euro, lo 0,1% circa del Pil. Spesso si tratta di aziende a conduzione familiare, con pochi mezzi e risorse. Qualcuno li definisce “padroncini”. 

Dimensione imprese italiane. Fonte: Indagine Anav 2011

Nicola Biscotti, presidente dell’Anav, prova a fare due conti: «Su 26mila bus a noleggio ce ne sono 6mila Euro 0 e 5mila tra Euro 0 ed Euro 2. Evidentemente l’obsolescenza è un problema che viene da lontano, se circolano ancora mezzi immatricolati nel lontano ’92». La crisi, insomma, è soltanto un acceleratore. Osserva ancora Biscotti: «Il costo di un autobus turistico nuovo va dai 300mila euro della Mercedes ai 190mila euro delle marche cinesi. Considerando circa 100mila km percorsi l’anno l’ammortamento rientra solitamente in 6-7 anni. Sotto la soglia dei 100mila km i tempi si allungano, per questo molte imprese familiari acquistano mezzi usati. Poi c’è il capitolo manutenzione: 6-7mila euro l’anno. Compreso il tagliando: è buona prassi effettuarlo ogni 20mila km».

Anzianità media bus turistici in Europa. Fonte: Indagine Anav 2011

Il gasolio – aumentato del 40% nell’ultimo decennio – incide per circa il 10-15% sui costi, seconda voce dopo il personale. Senza considerare che per entrare in città d’arte quali Venezia o Firenze costa 450 euro a mezzo, oneri che si possono riversare sulla clientela fino a un certo punto. Clientela che raggiunge il picco, coprendo oltre il 50% della domanda, tra marzo e giugno, causa gite scolastiche. Per il trasporto privato sulle tratte autostradali che collegano Nord e Sud la domanda è composta in prevalenza da studenti e anziani, fasce deboli che scelgono il bus perché non possono permettersi il treno e che solitamente possono scegliere tra numerose offerte che schiacciano al ribasso i margini delle compagnie. E dunque la disponibilità a rinnovare o comunque manutenere la flotta. Per questo Biscotti e i suoi associati hanno chiesto al governo di poter applicare, come avviene per il trasporto pubblico locale con la direttiva comunitaria 96/2003, uno sconto sulle accise dei carburanti che vada proprio a finanziare il rinnovo del parco mezzi. Richiesta per ora rimasta inevasa.

A complicare ulteriormente la situazione un quadro normativo (la legge quadro 218/2003) che consente ampi margini di discrezionalità ai Comuni nella concessione delle licenze, lasciando facoltà di coordinamento – ma non obbligo – alle Regioni. Regole come l’introduzione di limiti di età ai mezzi e al personale in rapporto agli stessi. Risultato? Solo 13 Regioni su 21 hanno applicato la legge quadro. Campania (4mila), Lombardia (3mila), Lazio (2,9mila), Veneto (2,7mila) e Sicilia (1,9mila) sono le Regioni con più autobus. La Campania, come evidenzia la tabella qui sotto, è anche la Regione con più mezzi Euro 0: 1600, quasi la metà del totale. 

Le Regioni con gli autobus più obsoleti. Fonte: Indagine Anav 2011

Non che la situazione del trasporto pubblico locale ed extraurbano sia migliore, anzi. Uno studio dell’Isfort, (Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti, controllato dalla fondazione Bnc), storico consulente del ministero dei Trasporti, ha calcolato in 11,6 anni l’età media dei bus. Nel 2004 era di 9,8 anni. Di nuovo, la crisi non c’entra. «Il punto chiave è che il rinnovo del materiale rotabile per la parte gomme normalmente avveniva a fronte di un contributo pubblico. Le aziende investono molto poco in proprio sull’acquisto dei mezzi, se non ci sono fondi disponibili. Il problema è che dal 2008 a oggi sono pressoché cessati», spiega Carlo Carminucci, direttore delle ricerche di Isfort. Che riconosce: «In Italia nel trasporto pubblico extraurbano regna il monopolio privato di piccole aziende che hanno concessioni da sempre. È un settore dove il privato è piccolo e monopolista». 

Fonte: Isfort

A inizio luglio, nel corso di un’audizione in Commissione trasporti, l’Asstra – associazione delle imprese del trasporto pubblico locale pubbliche e private – ha evidenziato il finanziamento pubblico per l’acquisto e sostituzione dei mezzi di trasporto, tra il ’97 e il 2001 pari a 2,3 miliardi, è sceso a 1,2 tra il 2002 e il 2006, a 278 milioni tra 2007 e 2011 e infine a 110 milioni tra 2011 e 2015. «L’età media del parco è arrivata alla soglia dei 12 anni; 11,95 per l’extraurbano e 11,19 per l’urbano. In un solo anno dal 2011 al 2012 è cresciuta di 7 mesi, un’enormità se si pensa a quante risorse sono necessarie per invertire il trend», è l’amara conclusione.

Problemi che difficilmente affronterà la nascitura Authority dei trasporti. Prevista dal decreto Salva Italia, messa in congelatore e poi riesumata dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, sarà cannibalizzata dalla decisione per cui l’esecutivo Monti l’aveva voluta: gestire la separazione dell’infrastruttura ferroviaria Rfi da Trenitalia. Sebbene nei suoi compiti vi sia «stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico». 

Twitter: @antoniovanuzzo