Portineria MilanoLa grana di D&G a Milano? Un immobile da 25 milioni

Altro che querelle sugli “evasori”

Un incantevole giardino e un monastero di monache. Siamo nel centro di Milano e quest’area verde potrebbe diventare edificabile e trasformarsi in un parcheggio, un ristorante o un albergo di lusso. Al netto delle polemiche sugli “evasori celebri” a cui l’assessore D’Alfonso aveva detto che il Comune di Milano non avrebbe dovuto concedere spazi pubblici, la reazione dei due stilisti e la decisione di chiudere per tre giorni lavorativi i negozi del gruppo, c’è molto altro a dividere Dolce & Gabbana e l’amministrazione meneghina, per cui le parti potrebbero presto ritrovarsi in tribunale. Sul giardino (1.200 mq) delle monache del Monastero di San Benedetto pende un ricorso al Tar. Gli abitanti della zona vorrebbero rendere un parco pubblico per i loro bambini e che gli stilisti invece intendono sfruttare per ampliare il quartiere «D&G».


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Al centro di tutto c’è lo sviluppo immobiliare di uno dei quartieri più alla moda del capoluogo lombardo, quello tra Porta Venezia e corso Indipendenza, dove Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno investito tanto negli ultimi anni con la Immobilkramer – dopo la fusione con la Antola – ristrutturando il cinema Metropol nel 2005 e rilevando nel 2008 per 25 milioni di euro la ex-scuola delle Monache Benedettine all’angolo fra via Kramer e via Bellotti, con la possibilità di estenderla lungo via Kramer fin quasi all’incrocio con via Goldoni, il diritto di costruire un parcheggio sotterraneo sotto il giardino e il diritto di prelazione sul monastero e la chiesa su via Bellotti, se le monache decidessero di venderlo.

In quel reticolo di vie Dolce e Gabbana hanno già spostato la sede e aperto il ristorante Gold. Il Piano di governo del territorio (il sostituto del Piano regolatore) della giunta di centrodestra di Letizia Moratti avrebbe permesso loro di sfruttare le volumetrie per costruire, ma la revisione del Pgt operata dalla giunta di Giuliano Pisapia e firmato da Ada Lucia De Cesaris, ha bloccato tutto destinando l’area a verde pubblico. Il nuovo Pgt ha previsto l’obbligo di spostare la volumetria in un’altra zona di Milano tramite lo strumento della perequazione. Adesso i due stilisti sono ancora in attesa che il giardinetto delle monache venga sbloccato per poter completare un parcheggio sotterraneo e costruire liberamente nuovi volumi immobiliari.

Una soluzione invisa agli abitanti di via Kramer, che nella polemica tra Dolce & Gabbana e l’amministrazione comunale hanno capito subito a chi dare ragione. Ovvero al Comune e al sindaco Pisapia perché nel 2012 con l’approvazione del Pgt, ha messo di fatto i bastoni tra le ruote ai piani di investimento immobiliare dei due stilisti condannati in primo grado per evasione fiscale in sede civile (ma assolti in sede penale).

Ma la vera storia storia destinata a far parlare di sé nei prossimi anni, in particolare nelle aule giudiziarie, è quella immobiliare non quella fiscale. La Immobilkramer di Dolce e Gabbana a gennaio 2013, ha presentato ricorso al Tar contro il Comune di Milano proprio per annullare il provvedimento urbanistico comunale che di fatto impedisce di disporre dello spazio verde.   


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Secondo i cittadini della zona l’amministrazione comunale ha fatto bene a fermare le ruspe all’entrata del giardino. Mentre, secondo gli avvocati della casa di moda, la giunta arancione avrebbe adottato una variante d’ufficio che non poteva essere introdotta nella revisione operata all’interno del Pgt e che di fatto confligge con lo sviluppo del verde già previsto in Corso Buenos Aires. Il punto sta proprio nella «richiesta degli abitanti»: destinare l’area del monastero ad utilizzo pubblico, un piccolo parco di quartiere e «di salvare gli alberi secolari». La storia del parco di via Kramer, è bene ricordarlo, va avanti da almeno dieci anni. Anche da prima che arrivassero Dolce e Gabbana. 

A seguirla sin dall’inizio c’è stato Michele Sacerdoti, da anni consigliere di zona 3, già candidato sindaco alle primarie del centrosinistra nel 2006 e citato da Dolce & Gabbana nel ricorso al Tar. «Il problema vero – spiega Sacerdoti – è che gli stilisti già con il cinema Metropol hanno acquistato uno spazio destinato a servizi come un cinema mantenendolo ad uso esclusivamente privato. Io avevo presentato anche un esposto alla procura di Milano nel 2006. Nella pratica edilizia, oltre a sostenere che le sfilate di moda fossero un servizio privato (mentre sono iniziative di vendita ad inviti), si prometteva di creare “un centro polifunzionale con mostre d’arte e spazio riservato alle idee e alle proposte dei cittadini». Ma è stato sempre chiuso al pubblico». 

Non solo. Il Monastero è tutelato da vincolo monumentale dal 2006 e nel 2008 proprio Sacerdoti si domandava cosa volessero farne i due stilisti. «Dolce e Gabbana hanno fatto un acquisto incauto, senza sapere del vincolo urbanistico, o sperano che il nuovo Piano di Governo del Territorio, liberalizzando le destinazioni d’uso, gli consenta di costruire lì i propri uffici?», spiegò. L’amministrazione Moratti aveva concesso loro la possibilità di farlo, ma poi è arrivata la giunta Pisapia a dare ragione ai cittadini della zona. Insomma, più che la polemica sul rapporto fra gli stilisti e la città, tra comune e Dolce & Gabbana si rischia di finire a carte bollate. Per immobili, non tanto per la moda.

E Giacomo Properzj, repubblicano, ex presidente della provincia di Milano, con la casa affacciata sul giardino, spiega: «Tutto il quartiere è stato negli ultimi anni investito dalla furia ristrutturatrice di Dolce & Gabbana che vi hanno costruito ristoranti, la loro sede e bonificato un vecchio cinematografo a luci rosse trasformandolo in sede per le sfilate di moda. Nulla di male in tutto questo anzi il quartiere sembra essere ringiovanito, importante però sarebbe che fosse salvato almeno una parte dell’area verde che potrebbe diventare, come accade in Inghilterra un giardinetto di quartiere per le madri con i bambini».

Twitter: @ARoldering

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