Letta, Di Pietro e i vizi della Prima Repubblica

Un paese sul binario morto

Ci si alza una domenica assolata di luglio, nell’anno del signore 2013, e ci si trova catapultati vent’anni prima. L’impressione non è esclusiva, leggendo qua e là in rete e sui social network, certe sensazioni si condividono e si diffondono. Il primo flash back che riporta all’inizio degli anni Novanta sono le parole della politica di questi giorni. Così di legno, democristiane nel senso peggiore, dire per non dire dissimulando sempre, quasi non fossimo sul ciglio del burrone come allora. Un’altra volta. Da questo punto di vista @FranFerrante su Twitter sintetizza bene la frustrazione, giocando sull’ironia: «Leggo giornali: “rimpasto”, “governo di legislatura”, “tagliando”, “verifica”. Che fico, stanotte devo esser tornato ventenne #pentapartito»

Un secondo flash back, più sofferto, è la lettura tra le righe della intervista ad Antonio Di Pietro pubblicata dal Corriere a vent’anni dal suicidio di Raul Gardini. Dell’intervista abbiamo già scritto in un corsivo stamattina. Quel che preme qui sottolineare è una frase che, riletta a distanza di vent’anni, dice molto di quella stagione e dei suoi eccessi manettari. Più intenti a “bonificare” il sistema che a perseguire, com’è giusto che sia, i reati. Anche qui arriva da twitter la stoccata giusta. Scrive @il_cappellini, riportando un passaggio dell’intervista: «L’avrebbe arrestato? “Non so, dipendeva se Gardini diceva frottole o verità”. Ecco la carcerazione preventiva nel codice di procedura Di Pietro…». Letta così, in una mattina assolata di luglio 2013, sembra quasi una spacconata da bar, salvo poi riaversi e scoprire che, vent’anni dopo, lo stato della nostra giustizia è ancora suppergiù lo stesso di allora. Stessi vizi, stessi problemi, stesse discrezionalità. Non ci sarà più Di Pietro, ma il dipietrismo ha fatto carriera… 

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