Chiuso nel suo studio al Quirinale, Giorgio Napolitano ripassa, taglia, aggiunge parole, lima, sgrassa il discorso che domani terrà di fronte ai giornalisti, nel grande salone degli arazzi, per la cerimonia del Ventaglio. Il presidente si informa anche, come può, delle domande che taluni cronisti intendono fargli, si prepara, perché la vicenda della signora Ablyazov, rispedita in Kazakistan assieme alla figlia di sei anni come una merce avariata, un pacco indesiderato, domani esploderà con il suo riverbero minaccioso anche nella sontuosa dimora del Quirinale. E ci si prepara, dunque, in quelle stanze, ad ogni evenienza. Così, una mano sulla penna, una, invece, sul telefono che da due giorni non smette di squillare nei corridoi del Palazzo presidenziale, lì dove Napolitano, pur stanco com’è, è più che mai il regista, il tessitore di ogni trama, lo sceneggiatore di una delicatissima commedia politica che ha per protagonisti Enrico Letta, il felpato presidente del Consiglio, e Angelino Alfano, il vicepremier e ministro dell’Interno pericolosamente impigliato nella storiaccia del Kazakistan, il segretario del Pdl, l’uomo di cui venerdì prossimo il Senato voterà la sfiducia.
Napolitano si prepara a difendere il governo delle larghe intese, la sua creatura politica, e dunque a difendere se necessario anche Alfano, il ministro che forse non può dimettersi senza compromettere la fragile architettura che regge la grande coalizione. Gli equilibri sono infatti precari, il Partito democratico già si divide e si contorce nel dubbio: che fare? «Alfano deve dimettersi», dice Gianni Cuperlo che corre per la segreteria e ha un interesse personale a increspare le acque, mentre anche Matteo Renzi annusa odore di cadavere, coglie l’attimo favorevole, e dunque chiama in causa Letta in persona, il suo unico vero avversario, il grande ostacolo verso l’orizzonte glorioso del potere. Comincia a fare manovra politica il giovane sindaco di Firenze, a giocare pericoloso e in grande, «è Letta che deve spiegare», dice Renzi, nel giorno in cui Silvio Berlusconi invece conferma la sua fiducia al governo e così facendo, agile e furbo com’è, getta la palla nel campo lacerato del Pd: «Se la vedano loro, se gli riesce di sopravvivere». Tutti nei Palazzi del potere romano, proprio tutti, compreso Guglielmo Epifani, il segretario dei democratici, sanno che la caduta del vicepremier Alfano, contrafforte del centrodestra all’interno dell’esecutivo, rappresenta un’incognita troppo pericolosa per essere anche soltanto teorizzata. Al momento. Ma il quadro si complica di minuto in minuto. E dunque la parola a Napolitano, mentre la nebbia non si è ancora diradata, gli orizzonti sono oscuri, e stabilire una rotta qualsiasi, alla cieca, rischia di portare la nave contro gli scogli.
Il presidente è già a lavoro da quarantotto ore per sciogliere il garbuglio, e domani parlerà in pubblico, salvo sorprese dell’ultim’ora per erigere una diga a protezione di Alfano, o quantomeno del governo che fa acqua. Ma lo farà con consumata sapienza tattica, da uomo di partito, vecchio stampo. Napolitano ha gestito personalmente la comunicazione politica dell’esecutivo sul caso Ablyazov, è stato lui a consigliare un basso profilo, ed è stato sempre il capo dello stato a spingere Letta sulle scale dell’aereo che lo ha portato a Londra: «Devi andare assolutamente», calma e gesso, come niente fosse. E Letta ha ascoltato, fatto di sì con la testa, e infatti il presidente del Consiglio ha scansato con l’agilità di un pugile l’intera vicenda kazaka, ha preferito rivolgersi agli investitori stranieri perché vengano a portare i loro denari in Italia, ha infine rampognato ancora quel “maleducato” di Roberto Calderoli, alimentando ad arte una polemica che in altri momenti sarebbe rapidamente scivolata a piede delle pagine interne dei giornali, nella coda esausta dei tg estivi, per poi non lasciare più traccia di sè. Insomma, Enrico Letta, fedele com’è ai consigli del capo dello stato, sua vera guida politica, ha lanciato un enorme fumogeno per occultare il disastro che pure tutti continuano a vedere al centro del proscenio. Ma Napolitano è abituato alle difficoltà, non si impressiona facilmente, ed è educato a ragionare secondo gli schemi antichi e freddi della real politik: al capo dello stato non sfugge affatto la portata del pasticcio diplomatico, Napolitano sa perfettamente quali possono essere gli oscuri riverberi della «bruttissima figura», parole del ministro degli Esteri Emma Bonino, che l’Italia ha fatto di fronte al mondo intero consegnando la signora Ablyazov al controverso presidente del Kazachistan. Eppure c’è una ragione di stato, un interesse per lui supremo, che gli impone di soprassedere, di troncare e di sopire, di respingere ogni altro pensiero e ogni tentazione incongrua: niente adesso è più importante della stabilità di governo, e tutto, davvero tutto, è per il momento sacrificabile di fronte all’interesse legato alla sopravvivenza delle larghe intese.
Ma certo la difesa di Alfano da parte del Quirinale non sarà esplicita. Nelle ultime ore la posizione del ministro si è infatti ulteriormente complicata, la storia si è fatta per lui molto scivolosa, il suo ex capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, prima di smentire, ha dichiarato al Corriere della Sera e alla Repubblica che “Alfano sapeva”, e così persino le inclinazioni del mutevole Berlusconi potrebbero anche modificarsi nel corso delle ore, in coerenza con il suo carattere e i suoi interessi, perché oggi il Cavaliere difende con durezza il suo Alfano, ma se dovesse davvero scegliere tra lui e il governo, messo alle strette, il Cavaliere potrebbe non avere dubbi. E scegliere il governo. Così le parole del presidente della Repubblica domani saranno oblique, un abile sfoggio di equilibrismo, di detto e non detto, toni di difesa, ma anche d’attendismo. Nella sua lunghissima carriera, Napolitano, che ha fatto tra le altre cose il ministro dell’Interno, è diventato un esperto nell’arte della persuasione politica, che è anche cura, talvolta cinica, della ragion di stato, d’interessi non collegati con l’amore per la verità e la giustizia, che sono materia per gli ingenui. Abile in sottintesi, in frasi che dicono e non dicono, in espressioni anche ambigue, in parole cortesi ma che possono essere minacciose nello stesso tempo, il presidente della Repubblica è un uomo integralmente politico, a sangue freddo, sa bene che diminuendo e falsando ci si può rendere cari a tutti, e tirare avanti verso un risultato ritenuto più importante d’ogni altra cosa.
Il commediografo francese Molière ha affermato nelle sue opere il valore sociale della mezza verità, della bugia persino, dipingendo il Misantropo come un terribile veritiero, che diceva zoppi i versi zoppi dei poeti e stupide le parole stupide delle donne, anche se amico del poeta o innamorato della donna. Perciò il suo Misantropo, uomo candido e votato alla verità, fu un odiato, un uomo di grande insuccesso, forse persino un cretino. Ecco, il Misantropo è tutto il contrario di quello domani farà Giorgio Napolitano al Quirinale.