Un paio di mesi fa il Premio Nobel Paul Krugman segnò un importante punto nel suo cammino verso l’acclamazione a Rappresentante Sindacale Unico degli anti-austerity di mezzo mondo (una posizione in ogni caso molto ambita). Pubblicò infatti una lunga analisi sulla New York Review Books in cui sbeffeggiava i “Bocconi Boys” (1) , veri responsabili – a suo dire – della diffusione dell’approccio secondo cui gli aggiustamenti fiscali sarebbero, sotto qualche forma, desiderabili anche in periodi di recessione. Opinione oltremodo invisa non solo al bellicoso Premio Nobel, ma da arrabbiati e focosi politici, economisti, uomini d’affari, sindacalisti e benpensanti.
Ma cosa dicono i dati sull’aggiustamento fiscale realizzato nel triennio 2010-2012 dai paesi membri dell’Unione Europea?
La seguente tabella (fonte Eurostat) mostra – per ciascuno dei paesi dell’UE – la variazione dell’indebitamento netto in rapporto al Pil (∆D/Y) realizzata negli ultimi tre anni (2), e la sua composizione: quanto di questa è dovuta ai movimenti del rapporto tra uscite pubbliche e Pil (∆G/Y) e quanto invece a quelli del rapporto tra entrate fiscali e reddito nazionale (∆T/Y):
Vediamo dunque che 25 dei 27 paesi dell’Unione (non si considera il recente ingresso della Croazia) hanno compiuto una qualche forma di aggiustamento fiscale, definibile come riduzione del rapporto debito/Pil, le eccezioni sono Cipro e Danimarca.
Un’occhiata più attenta ci fa suddividere questi 25 paesi in tre gruppi:
1. Coloro che hanno compiuto l’aggiustamento interamente sul lato delle entrate (mantenendo quindi la spesa pubblica costante o in aumento rispetto al Pil nominale): Belgio, Grecia, Spagna e Malta.
2. Coloro che hanno compiuto l’aggiustamento prevalentemente sul lato delle entrate: Repubblica Ceca, Francia, Slovenia e Finlandia
3. Coloro che hanno compiuto l’aggiustamento prevalentemente sul lato delle uscite: tutti i rimanenti.
La seguente figura ci mostra le performance di crescita media del Pil reale (3) di questi tre gruppi di Paesi:
I Paesi che hanno compiuto l’aggiustamento prevalentemente sul lato delle uscite mostrano una performance media di crescita triennale superiore dell’81% a quella dei paesi che invece hanno deciso di ridurre il deficit prevalentemente agendo sulla pressione fiscale. Coloro che invece hanno puntato tutto sull’aumento delle entrate, registrano una performance media marcatamente negativa. Per la cronaca, i due paesi che non hanno ridotto il deficit (Cipro e Danimarca) registrano una performance media triennale pari a +0,85%.
Questa semplice occhiata ai dati non significa certo molto. Non è un’analisi di causalità, quindi non è certo possibile individuare a-priori nelle scelte sulla composizione dell’aggiustamento la ragione delle differenti performances di crescita dell’attività economica. Non vuole né può certo dimostrare la maggiore desiderabilità di un taglio alle spese piuttosto che un aumento delle entrate, essendo una mera analisi descrittiva che non coglie – così com’è – alcuno dei molteplici e complessi meccanismi della trasmissione della politica fiscale, specialmente in una fase restrittiva del ciclo. Tuttavia, forse può servire quantomeno a insinuare qualche dubbio sulle granitiche certezze dei professionisti dell’anti-austerity. E suggerire che una discussione del genere va affrontata con (molta) meno ideologia, e (parecchia) più concretezza.
(1) Krugman si riferiva soprattutto ai lavori accademici di Alberto Alesina (Università di Harvard) e Silvia Ardagna (Merril Lynch), entrambi aventi un passato all’Università Commerciale L.Bocconi di Milano
(2) Si confrontano i dati di consuntivo 2012 rispetto ai consuntivi 2009, in modo da cogliere appieno le manovre occorse durante il triennio. I dati si riferiscono al settore pubblico consolidato
(3) Si intende la media (per ciascun gruppo) del tasso di crescita del Pil reale tra il 2009 e il 2012 (calcolato come somma dei tassi di crescita annuali e non come valori cumulati).