Pain and Gain, l’edonismo di Miami finisce male

Torna il regista di Bad Boys

Nell’eterno Spring Break anabolizzante di Miami, il sogno americano non smette di incarnarsi in illusioni sempre più facili. “Mi chiamo Daniel Lugo e credo nel fitness”, dice il nostro eroe, deciso finalmente a svoltare. Essere un doer tra la gran massa perdente dei don’ters. Diventare ricco, avere tutte le donne che vuole, spassarsela, permettersi tutto. Vivere un’infinita primavera. “Pain and Gain” di Michael Bay racconta come un istruttore di palestra forma una banda per prendersi tutti i soldi di un suo cliente e goderseli al posto suo. Siamo a metà anni Novanta, prima stagione clintoniana. L’America va. E questa è una storia vera.

Basata sulla ricostruzione del giornalista investigativo Pete Collins, la sceneggiatura ripercorre in forma di lungo flashback la nascita e le imprese della scalcagnata “Sun Gym Gang”, raccontata secondo un registro che oscilla tra la struggente confessione del protagonista e la black comedy fracassona. Il punto di equilibrio è difficile da trovare, e infatti i cedimenti sono diversi, ma il film è sostanzialmente riuscito. Il primo quarto d’ora anzi è davvero bel cinema, con la voce narrante di Lugo (Mark Wahlberg) che tratteggia con precisione e secchezza stilistica la propria parabola edonistica verso un improbabile eldorado di dollari donne e villone sul mare. Il regista Michael Bay, la cui carriera si è svolta sotto le insegne di blockbuster non proprio ambiziosi come la serie dei “Transformers” di cui è in progress il quarto episodio, ha a lungo inseguito questo progetto a budget ridotto (almeno per gli standard hollywoodiani: 22 milioni di dollari) e la passione verso questa storia vien fuori tutta, onestamente supportata dal copione del collaudato duo Stephen McFeely e Christopher Markus (gli autori del ciclo delle “Cronache di Narnia”). Intendiamoci, Bay non è Darren Aronofsky (“The Wrestler”) né David O. Russell (“The Fighter”) né Harmony Korine (al netto dei troppi vizi e vezzi di “Spring Breakers”): quando sta per prendere il volo autoriale, riempiendo i personaggi di verità e profondità, le ali piombate e deformate dalla routine ragionieristica dello showbiz lo riportano giù di quota, sul filo dritto del canonico.

Tuttavia l’operazione funziona, grazie anche a un ottimo lavoro sul cast. Buona la perfomance del palestrato, gonfio terzetto criminale, interpretato da Walhberg, Dwayne Johnson e Anthony Mackie, bravi a destreggiarsi con autoironia su personaggi che oscillano tra accensioni religiose pronte a diventare deliri, bombardamenti ormonali, disfunzioni erettili, svacchi da cocaina, varie combinazioni erotiche che mischiano spogliarelliste biondo-romania, infermiere oversize e preti gay, e soprattutto una sostanziale cazzonaggine, una stupidità comica se non fosse drammatica perché i ripetuti e falliti tentativi di omicidio e gli assassini non voluti ma realizzati e le rapine e le torture e tutto il cancan sono pura cronaca: ce lo ricorda il finale che ha un impatto di realtà forte, dal momento che spezza con brutalità il ritmo giostresco del racconto. Nel bel gioco d’attori spicca per bravura soprattutto Tony Shalhoub, davvero memorabile nella parte di sgradevolissima vittima, uno che sopravvive a tutto grazie a una fede insormontabile: fede soprattutto nella propria cafonissima ricchezza conquistata passo per passo, panino dopo panino (è un ristoratore, parecchio carogna). Da citare poi anche Ed Harris, nella parte dell’uomo tranquillo dagli occhi di ghiaccio, navigato detective con gli occhi pessimisti ma non cinici sul mondo: un’interpretazione che lo conferma tra i grandi della sua gloriosa generazione d’attori.

Tutti i partecipanti, interpreti autori e maestranze varie di questo racconto sociale sull’ubriachezza capitalistica a base di “muscoli e denaro”, torneranno o già sono tornati a super-produzioni losangeline e annessi onorari milionari (Bay è uno da 160 milioni di dollari di guadagno all’anno, per dire, e in questo film lui e gli altri big hanno accettato di guadagnare a percentuale sugli incassi, incassi peraltro finora non esaltanti in Usa). Intanto val la pena non perderli in questa che è assai più di una curiosità cinematografica di mezza estate.

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