Arrivi a Palermo volando sopra l’isola di Ustica, con le onde sotto di te, e nemmeno te ne accorgi, né ci pensi, che se ci pensi chissà quante sono, le cose che pensi. Allora voli via: Punta Raisi è a poche miglia da lì e ti aspetta, con la sua pista in riva al mare e il sole dappertutto.
Arrivi a Palermo, aeroporto Falcone e Borsellino, e ci pensi – non puoi farne a meno – ai due giudici e ai venti e più anni trascorsi da allora. Non puoi non accorgertene, sta scritto sulla parete, non puoi far finta di nulla e allora ci pensi davvero, almeno un po’, e chissà quante sono le cose che pensi.
Arrivi, salti su un’automobile e vai, che Palermo è a pochi chilometri da te. Ti infili nel traffico, con la brezza del mare alle spalle, e vai. Tempo cinque minuti e il cartello verde dell’autostrada ti sfreccia accanto: sei a Capaci e non sai se rallentare in silenzio o accelerare, per fingere di non pensarci e arrivare ancor prima in città, tra i tuoi impegni e il pane con la milza. Però ci pensi: Capaci è l’undici settembre delle città; Capaci non è un nome, è un ricordo. Ci pensi e mentre pensi sono troppe, le cose che pensi.
Pensi che qualcuno ha avuto l’idea di intitolare l’aeroporto della città a due uomini di legge, per costringere turisti e commessi viaggiatori a pensarci anche loro almeno un po’. È stata un’ottima idea. Purché non ci si fermi lì. Del resto un aeroporto, per definizione, non è un luogo dove ci si ferma, anzi. Si viene e si va. Ed è bello quando vengono e vanno anche le idee.
«Le loro idee camminano sulle nostre gambe». Sono parole rubate a Giovanni Falcone ed è un furto di quelli, che ce ne vorrebbero molti, di furti così. Questa frase la vedi scritta sulle magliette, sui muri, e cammina senza fermarsi all’aeroporto dove forse qualcuno – forse – si è lavato un po’ di coscienza e ha chiuso il discorso.
Camminano e seguono il vento: quello scirocco che quando atterri spesso ti fa trattenere il respiro, ma non è poi così male, ogni tanto, trattenere il respiro…
E per le strade della città, tra il pane e panelle e l’ombra di una magnolia, scopri che di gente che cammina ce n’è. Cammina in silenzio, ma si muove di più del rumore che fa e, lì accanto, qualcosa si muove con lei.
Si muovono da un anno dieci ragazzi: dieci adolescenti che incontrano dieci artisti e insieme, dieci più dieci, seguono i venti di questi vent’anni dalle stragi a oggidì. Partono da un gioco di parole e prendono il volo, che con un vento così nemmeno serve, l’aeroporto. Hanno Palermo tutt’intorno, ci vivono da che son nati e in qualche maniera cercano pure di viverla, la città, e in questo modo la fanno vivere. È piccola cosa, il lavoro di dieci ragazzi, ma forse no.
La ludoteca che li accoglie, così per gioco, tanto un gioco non è. Ma se è un gioco, tanto vale mettersi in gioco e se si è in troppi non funziona. Lo sanno Sonia e Carlo, che di giochi e di sfide ne sanno più di tutti e sono un po’ Palermo anche loro, come i giudici all’aeroporto, come i Quattro Canti e come i loro dieci ragazzi e le venti gambe su cui far galoppare le idee. Venti, come i venti e come gli anni da allora, che ormai sono ventuno.
Ne è uscito un video intrigante, dal titolo che fa un po’ Sergio Leone: Vento immobile, che rende molto l’idea delle cose che cambiano affinché nulla cambi, del vento che soffia senza spostare l’aria. Intanto questi ragazzi hanno vissuto un progetto. Prova tu a metterti lì e ideare un video animato: loro ora sanno come si fa, hanno idea di cosa sia il gioco di squadra, anche senza un pallone tra i piedi; in futuro forse avranno meno paura ad affrontare un progetto da far nascere e crescere, o di un albero da piantare. Prova tu a scegliere un seme tra i tanti, trovare la terra adatta, piantarlo non troppo al sole, né troppo all’ombra; innaffiare quando e quanto serve, potare e far fiorire. Ci vuole tempo e coraggio, per diventare una magnolia come quelle di Palermo, anche se è vero che certe terre sono più generose di altre ed è probabile che in Sicilia, ovunque cada, un seme qualcosa germogli.
Ce ne sono altre, anche nei quartieri più a disagio, di ludoteche che acchiappano i ragazzi dalle strade e, giocando, insegnano che la vita non è un gioco. Sono decine le iniziative che se non partono dalla legalità è lì che arrivano, camminando con le idee di Falcone e Borsellino. Camminano e arrivano lontano, come è il destino di chi si mette in marcia.
Succedono cose a Noto e altre a Valderice o Enna. La Festa del libro di Zafferana Etnea è un evento che va ben oltre la Sicilia, pur nascendo tra i banchi della scuola della vulcanica Gabriella, dirigente dal sorriso attento, che poi diventano due scuole e ora molte di più.
È bello pensare che, oltre a un aeroporto, tante scuole portano oggi il nome di Borsellino o di Falcone. Anche su al Nord, a Corsico, a Gallarate, a Rozzano, ad Arese… Che la memoria non ha latitudini e la malavita nemmeno. E mi va pure di credere che i ragazzi là dentro lo sappiano chi furono e chi sono, quei due.
È bello sapere che Ornella, della scuola Falcone di Copertino, Lecce, a poche ore dal sisma ha acchiappato ogni cosa ed è salita in Emilia, per donare al paese e ai cittadini di Cavezzo una splendida bibliotenda. C’è più in questa idea che cammina, che in molti libri negli zaini dei nostri ragazzi.