«Time out». Persino mio figlio e i suoi compagni di classe, che hanno sei anni, hanno già imparato e conoscono il valore quasi sacrale della tregua, sia pure virandolo nella sua variante sportiva, con quel gesto della mano a “T” – Time! – che usano indifferentemente per mettere fine ad una gara di nascondino o a un estenuante turno di compiti sul libro di esercizi di matematica dell’estate.
La bandiera bianca sventolata su un campo di battaglia è un indicatore di civiltà, esattamente come lo è concedere quattro ore di assemblea o di pausa a una componente parlamentare, nel giorno in cui il suo leader rischia il carcere. La bandiera bianca e il suo riconoscimento non sono un indicatore di compromissione, ma la certificazione della diversità. Ed è forse per questo che trovo incredibile l’attacco del Movimento 5 Stelle contro i parlamentari del Pd, quei cori di dileggio in Aula «Servi-servi! Buffoni!». Per questo non capisco le fratture drammatiche nel partito di via del Nazareno, Rosi Bindi che dice a La Repubblica: «Così muoriamo».
Titola in prima pagina il Fatto, per attaccare il partito di Guglielmo Epifani: «Il Pd si cala le brache ma solo per un giorno». E molti grillini cercano di interpretare quella tregua di mezza giornata concessa al Pdl come una gravissima compromissione. Invece secondo me il Pd ha fatto benissimo a votare quella sospensione e non ha rinunciato a nessun valore, non ha sfigurato la democrazia: si fermano in automatico i lavori delle Camere per i congressi dei partiti, si sono fermate le plenarie per le grandi manifestazioni, persino per consentire la celebrazione di una direzione di partito. Se uno non ha la coda di paglia del sospetto inciucio che lo insegue, non mette in gioco la propria identità quando concede una tregua circoscritta all’avversario. Cosa avrebbero chiesto i capigruppo del Movimento 5 Stelle se Grillo avesse rischiato l’arresto? L’altra faccia del consociativismo di Palazzo è l’intransigenza spietata dell’antipolitica. Riconoscere il diritto al «time out», invece, vuol dire ammettere implicitamente che si è avversari davvero. Ma in modo leale.
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