Perché il downgrade di S&P non va sottovalutato

Instabilità finanziaria e caos italiano

 L’agenzia di rating Standard & Poor’s, con il suo comunicato di martedì ha ridotto il rating di lungo termine dell’Italia da BBB+ a BBB, ad appena un gradino di distanza dal giudizio BB+ con cui si classificano i titoli non investment grade (titoli spazzatura). Appaiono condivisibili le motivazioni, e non dovremmo sottovalutarne le possibili conseguenze.

Le Motivazioni

I nodi italiani sono irrisolti da vent’anni: bassa crescita, stagnazione della produttività, salari non allineati con la produttività: cose abbastanza note che ho recentemente documentato qui; la coalizione di governo appare incapace di affrontare i nodi strutturali come riforme del mercato del lavoro, della giustizia, del credito, del fisco (meno peso alle imposte su lavoro e capitale e maggior carico su proprietà e consumo), della spesa corrente; permangono rischi per il bilancio causati rinvio/abolizione di Imu e aumenti Iva, e per il debito a causa del rimborso dei crediti delle imprese (40 miliardi).

S&P stima che sia necessario un avanzo di bilancio primario (al netto della spesa per interessi) di 5 punti di Pil per cominciare a far diminuire il rapporto debito/Pil. In realtà, S&P eccede nel pessimismo: anche se si assume (come fa S&P) che il tasso di crescita rimanga zero per i prossimi anni, con un tasso nominale del 5% e un tasso di inflazione al 2% basterebbe un avanzo primario del 3,9% del Pil a stabilizzare il debito al 130% (che comunque è un bello sforzo). Mi sembra però condivisible la valutazione che tali avanzi siano politicamente irrealistici, con o senza a little help from our friends in Europa.

In più, l’outlook è negativo, che significa che si stima che vi sia una probabilità su tre che il rating venga abbassato di uno o più gradini , cioè fino a livello spazzatura, se non si riuscisse ad impedire il peggioramento del bilancio e non venissero affrontati con riforme i nodi strutturali dell’economia.

Le conseguenze

Ci sono due scenari:

1) assenza di crisi (kick the can down the road)
2) scenario di crisi

Nel primo caso la decisione di S&P avrà effetti trascurabili sul costo del debito: come spesso nel passato, il giudizio delle agenzie di rating non portà nessuna “notizia” che il mercato non abbia già incorporato nei prezzi delle attività finanziarie. Si va avanti per inerzia.
Crisi: questa potrebbe avere origine interna (Berlusconi condannato, caduta del governo Letta, instabilità politica) e/o estere (la troika non concede l’ultima tranche alla Grecia, Rajoy costretto a dimettersi e crisi politica in Spagna, contrasti in Europa su Unione bancaria etc).

La recente letteratura su crisi e contagio finanziario suggerisce che, a differenza di quanto accade in periodi “normali”, durante i periodi di forte instabilità finanziaria le valutazioni delle agenzie di rating contribuiscono in modo significativo a modificare le percezioni di rischio dei debiti sovrani.

Per concludere, anche se le prossime aste dei nostri titoli non dovessero risentire dal giudizio di S&P il governo Letta ed i suoi sostenitori farebbero malissimo a cantar vittoria, perchè spesso la punizione dei mercati arriva in ritardo, e con gli interessi. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter