Un tempo, quando si parlava di Tommasi, si faceva riferimento a un calciatore della Roma, poi presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, e non c’erano sorprese né problemi. Adesso, quando si legge questo cognome in titoli di scatola, si puó trattare solo e sempre di lei: ovvero di Sara Tommasi, nuovo oggetto voyeuristico nazionale per eccellenza, croce e la delizia di un paese guardone, protagonista immancabile di una infinita saga di disavventure a puntate. È curioso provare a capire perché.
Anche io resto stupito che ieri, il suo nome fosse addirittura uno dei primi sette argomenti di discussione in Italia, almeno su Twitter, anche io mi divido tra l’idea che la Tommasi sia vittima (soprattutto di se stessa), e la curiosità di leggere l’ennesima puntata della telenovela che la riguarda. E anche io sono coinvolto nel meccanismo ipnotico che porta un italiano su due (non solo i maschi) a chiedersi: ma quella “ci fa o ci è?”, a scuotere la testa, ma a volerne sapere di più.
Non è colpa nostra. Ad alimentare questa curiosità ci pensa in modo scientifico lei – almeno dal 2006 – con frasi come:
«All’inizio non volevo spogliarmi, poi ho cambiato idea. Il seno? L’ho rifatto. Io sono un prodotto da vendere nel mercato dello showbusiness».
Partita con questo manifesto programmatico, malgrado il conforto di un curriculum bocconiano che pareva perfetto per fuggire dagli stereotipi, non poteva certo avere grande fortuna.
Nel 2011 la Tommasi iniziò a lanciare segnali preoccupanti, dichiarando a Diva e donna di essere stata drogata, e sottoposta all’impianto di un microchip per fini sessuali (ben prima che il fatidico strumento diventasse oggetto di dibattito persino tra alcuni deputati del M5s). Poi Sara ha parlato di ufo e di rapimenti alieni, e si è capito che arrivavano i guai. Dopodiché ha iniziato a smutandarsi in giro per l’Italia con l’unico evidente proposito di conquistare fotonotizie, si è fidanzata con un filosofo ageé che vende i suoi libri come le enciclopedie, e infine ha intrapreso una carriera porno, di cui abbiamo avuto cronache in diretta prima ancora che fossero ultimate le riprese, grazie a dilatati e sconvolgenti servizi de Le Iene.
L’ultima novità è la notizia del 6 luglio: l’arresto dei due produttori di uno dei film, con l’accusa di averle fatto assumere droga e di averla addirittura indotta ad uno stupro di gruppo. La situazione è così incancrenita che diventa sempre più difficile capire dove finisca la falsificazione e dove cominci la realtà, stabilire dove c’è manipolazione e dove Sara manipola se stessa, il suo corpo e la sua stessa immagine.
Probabilmente perché sono vere entrambe le cose, così come bisogna immaginare che di fronte ad un soggetto così instabile si combattano anche diversi aspiranti manipolatori, in un gioco di specchi in cui tutto diventa difficile, anche capire chi è ambiguo e chi no. Tutto questo ci incuriosisce – bisogna ammetterlo – perché gli italiani sono avvinti dalle storiacce e dal sesso, soprattutto quando gli permettono di ritagliarsi un ruolo giudicante, moralistico, puritano. Senza accorgercene usiamo la Tommasi come un feticcio, per fuggire alla paura collettiva di una generazione, quella dei trenta-quarantenni, che è quella di finire irresoluti come lei.
C’è un pezzo di Italia che assumerebbe droghe e microchip e molto più per arrivare al successo e gode della sua caduta come per scaramanzia, e un altro pezzo di paese che teme che non bastino lauree, talenti e bellezza per arrivare alla sicurezza, e compiange la Tommasi con il senso pietistico di chi contempla un fallimento sapendo che un frammento di quel paradosso potrebbe viverlo anche a lui.
Le cadute rovinose, nel tempo della flessibilità sono l’autobiografia di una nazione. Sara Tommasi è abbastanza svampita per non essere nessuno di noi – e farci tirare un sospiro di sollievo – e abbastanza sfortunata per ricordarci tutti noi, e ispirarci un sentimento di angoscia rancorosa: nella sua sventura la Tommasi ha costruito un fotoromanzo interclassista, in cui ognuno può dire la sua, sia nel segno della solidarietà che in quello del dileggio. La vera essenza morbosa del voyeurismo è l’idea che spiando l’intimo degli altri si riesca a godere proteggendo se stessi, e senza mettersi in gioco. E invece dovremmo capire, grazie alla follia della Tommasi, che se diventiamo tutti un po’ guardoni è perché siamo tutti più insicuri di quanto dovremmo.
Twitter: @LucaTelese