Oh no, sulla Francia non si può. Siamo alle solite: loro comprano, ma quando si tratta di essere comprati, alzano le barricate. Loro sono i francesi. Fanno shopping in Italia, ma ora che un’azienda italiana vuol acquisire il controllo di un loro gruppo s’indignano dietro uno spocchioso: mais non. Stiano lontani quei puzzoni di italiani che fanno arricciare gli aristocratici nasini.
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Succede questo: Grafica Veneta, sede a Trebaseleghe, in provincia di Padova, uno dei più importanti gruppi grafici europei (stampa, tra l’altro, magazine per l’americano New York Times, il brasiliano Globo, lo spagnolo El País, la russa Pravda) vuol comprare il colosso francese Cpi, un gigante da 3.600 dipendenti (Grafica Veneta ne ha 250), stabilimenti in tutta Europa (Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Repubblica ceca, Olanda) che fattura 500 milioni di euro all’anno e stampa 500 milioni di libri ogni anno. L’offerta complessiva è di 100 milioni di euro, più altrettanti per la ristrutturazione. «Stiamo lavorando da sei mesi a quest’operazione, sono coinvolti 21 avvocati», conferma l’altro giorno al Mattino di Padova il presidente di Grafica Veneta, Fabio Franceschi. E il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato (padovano, quindi piuttosto interessato a una vicenda che si svolge nel giardino di casa) twitta trionfante: «Italiani comprano aziende francesi, non il contrario».
Bravo Franceschi che compra la francese CPI,gli do una mano.Italiani comprano aziende francese non solo il contrario pic.twitter.com/tPKKFb2V02
— flavio zanonato (@flaviozanonato) July 30, 2013
Forse avrebbe fatto meglio a scrivere «italiani vorrebbero comprare aziende francesi». Già, perché il medesimo Franceschi oggi rilascia al medesimo quotidiano padovano una dichiarazione dai toni decisamente diversi: «Il clima è un po’ ostile. I francesi si stanno blindando in modo abbastanza vergognoso perché non ci vedono proprio come i salvatori della patria. Quando invece vengono loro a comperare le nostre aziende, chiedono la massima tolleranza».
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Inutile dire che in un’operazione del genere sono coinvolti ministri e rappresentanze diplomatiche. Al momento Cpi è proprietà di un gruppo di 18 banche (c’è dentro anche Unicredit, ma in posizione defilata) che ne ha preso il controllo nel 2009 ed è riuscito a ridurre il debito a 123 milioni di euro. Il punto è che Grafica Veneta non è più sola e per Cpi potrebbero prospettarsi altre soluzioni più casalinghe. Sembra che ci sia un’offerta di Bpi (Banque publique d’invetissement) una sorta di cassa depositi e prestiti francese, che quindi consentirebbe a Cpi di rimanere bianca, rossa e blu. E pare anche che ci sia una contro offerta di un fondo d’investimento. Nel caso di Bpi si parla di un tandem con un operatore privato, ma Franceschi smentisce che si tratti di Grafica Veneta. Lui vuole il pieno controllo dell’azienda francese, cosa che gli consentirebbe di diventare il primo stampatore di libri del mondo e di aumentarnee la redditività. «Grafica Veneta può contare su 350 mila euro di ricavi per dipendente, Cpi ne fa 130 mila a dipendente. Serve una ristrutturazione, è evidente, ma noi puntiamo a non lasciare a casa nemmeno un collaboratore e a investire 100 milioni in un anno per trasferire la nostra tecnologia», spiega Franceschi.
L’impegno finanziario sarebbe notevolissimo. «Grafica Veneta può affrontarlo usando, per la metà del valore, la sua cassa e per metà a debito senza portare la leva oltre il tre per cento. La cosa che, a questo proposito, mi ha fatto molto piacere è che tutti i nostri fornitori ci hanno già fatto sapere che sono con noi. Dai primi cinque editori al mondo alle cartiere», sottolinea Fraceschi.
Una strategia che evidentemente non piace a tutti, il clima ostile a cui lo stampatore veneto fa riferimento ha portato, quanto a interessamenti diretti, a un alzarsi dell’asticella delle trattative. Si rischia il déjà vu: gli italiani, di là delle Alpi, piacciono solo se si fanno comprare.
Twitter: @marzomagno