“Siberia”, la serie che si finge “L’isola dei famosi”

16 concorrenti, 500mila dollari in palio

Ha mandato in palla la critica internazionale. A primo acchito tutti (dal Los Angeles Times a Variety, da Tv.com al NYPost), l’hanno bocciato o promosso a stento. Siberia non è un prodotto intellettuale, almeno non apparentemente. È una serie che si finge reality o un reality che si finge serie ed elogiarlo è come dare il proprio benestare a quella tv spazzatura che mai e poi mai un critico televisivo si sognerebbe di premiare. Eppure, al di là dei voti, leggendo gli articoli, pare ovvio che Siberia sia piaciuto a tutti, tanto da spingerli ad ammettere di essere curiosi per le puntate a venire.

Suvvia, se al pilot di una serie gli rifiliamo un misero 2 su 5, state certi che non continuiamo a guardarla. Il punto è che Siberia ha tutte le carte giuste: mistero, curiosità e quella buona dose di voyeurismo che in televisione non guasta mai. L’unico “neo” starebbe in quel suo format così poco tradizionale: il tutto si svolge come in un reality, in una sorta di “Isola dei non-famosi” ambientato nelle lande desolate della Siberia.

Sedici concorrenti, un premio di 500mila dollari per chi riesce a sopravvivere durante l’inverno e nessuna regola. Il gioco ci viene spiegato dal presentatore, come se si trattasse di un vero reality. La telecamera segue i concorrenti, con tanto di confessionali e interviste a tu per tu. Insomma, la tv spazzatura si fa fake (ma poi sul serio crediamo che non lo sia già?) e getta le basi per costruire una sceneggiatura, in una sorta di gioco di scatole cinesi in cui una finzione (la produzione tv) si spaccia per un’altra finzione (un reality show) che si finge realtà.

Non si tratta del “solito” mockumentary alla Modern Family né tanto meno dell’ennesimo tentativo di ricalcare il successo di Lost, come ha fatto The River. Anche se gli ammiccamenti ci sono: la terra selvaggia e pericolosa, strani rumori nella notte, eventi inspiegabili e morti drammatiche. Forse a pesare sul giudizio della critica è stato il casuale tempismo: risale a soli pochi mesi fa la morte di un giovane concorrente all’interno del reality Koh-Lanta, la versione francese del format Survivor, seguita dal suicidio del medico del programma che gli aveva prestato i primi soccorsi. Le grandi firme fanno uno più uno e prendono le distanze. Eppure Siberia (programmata con largo anticipo rispetto al drammatico evento) ha una forza mediatica che non si può ignorare: da un lato è una calamita per il pubblico che si sazia di Grandi Fratelli e company, dall’altro fornisce tutti gli spunti per leggere in chiave ironica questi format, attraverso un manipolo di personaggi che ricalcano i più classici cliché (la modella bitch, il nerd, l’asiatica, il leader, la timida, il macho, etc).

Se i reality si spacciano – senza riuscirci – per esperimenti sociali, questo verite-style drama sembra aver imboccato la strada giusta (anche se horror). E se l’esperimento non funziona, beh c’è sempre la componente mystery che già da sola potrebbe reggere le redini del gioco.

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