Sicilia, la “favola” dell’abolizione delle province

Province siciliane: esistono ancora?

«L’abolizione delle Province è la prima tappa di una rivoluzione importante che deve riguardare la Sicilia. Quello di questa sera è un banco di prova fondamentale, perché se si riesce a compattare la maggioranza sulla cosa che sembrava più difficile, io credo che adesso il percorso del governo sarà un percorso molto più tranquillo e finalmente inizieranno le grandi riforme». Era il 19 marzo, e un «rivoluzionario» Rosario Crocetta registrava un risultato «storico». Perché per la prima volta nella storia della Repubblica italiana la regione «più sprecona d’Italia» dettava i tempi al resto del Belpaese. «Una riforma che ci consentirà di risparmiare fino a 130 milioni di euro l’anno».

Così alle 20:15 di quel «famoso» 19 marzo l’aula di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana, approvava con voto segreto la legge 278, “Norme transitorie per l’istituzione dei liberi Consorzi Comunali”, con 53 sì, tra cui quelli di Pd e M5s, e 22 voti contrari. «È la rivoluzione: il modello Sicilia abolisce le province», recitavano in quei giorni i titoli dei giornaloni del Continente.

Ormai il governatore regionale siciliano Crocetta è al centro del dibattito nazionale, annuncia risparmi per 100 milioni perché i consorzi dei comuni saranno degli organi di secondo grado: le nove province siciliane si trasformeranno in liberi consorzi, come prevede lo Statuto speciale, i cui componenti non saranno più eletti ma indicati dalle amministrazione. Insomma Crocetta trionfa, e quella che è stata ribattezzata “legge Giletti” – dal nome del conduttore della trasmissione in cui il presidente della regione siciliana ne ha annunciato la presentazione – si trasforma in un modello per il resto dello stivale.

Eppure l’operazione crocettiana resta un’opera meramente mediatica. Perché di fatto il voto di Palazzo dei Normanni non elimina le province ma l’articolo 1 comma tre stabilisce che si sospende semplicemente «il rinnovo degli organi provinciali». In questo modo non si celebrano i rinnovi dei consigli provinciali in scadenza nel mese di maggio, e si avviano al commissariamento tutte le nove province, quattro delle quali già in amministrazione governativa dello scorso anno. In sostanza il governo con un artificio legislativo prende tempo. Del resto uno come Giovanni Avanti, (ancora) presidente regionale delle Province siciliane, tiene a precisare che «fino al 31 dicembre le competenze resteranno in mano alle province: la legge approvata dall’Ars ha sospeso le elezioni. Punto». Il 31 dicembre rappresenta la deadline, entro quella data l’assemblea regionale dovrà legiferare e stabilire cosa ne sarà delle province. Altrimenti saranno guai.

Ma, secondo quanto riferiscono a Linkiesta, il secondo scenario sarebbe il più probabile e si potrebbe verificare. Perché le settimane passano, e delle riforma dei cosiddetti «liberi consorzi» non c’è traccia. Anzi. I parlamentari democratici, sotto un sorriso che lascia intendere come andrà a finire, trasudano scetticismo: «Rosario è bravo a mandare all’aria le carte. Ma al momento non si muove una foglia. Anzi se proprio dobbiamo dire la verità: di riforma delle province non se ne parla da settimane, per non dire mesi».

In realtà, come riferisce un funzionario dell’assessorato agli Enti locali, che starebbe seguendo da vicino i vari step del progetto di riforma, «allo stato dell’arte abbiamo aperto quattro tavoli tematici – una sui liberi consorzi, uno sulle città metropolitane, uno sulle partecipate, e uno su acqua e rifiuti – interfacciandoci con le associazioni, le Università, i commissari delle province, e i comuni delle tre città metropolitane (Palermo, Messina e Catania). Gli incontri li ultimeremo i primi agosto. Ma questi tavoli restano propositivi. Alla conclusione di questo primo giro si tireranno le somme». Insomma, per dirla con un parlamentare regionale, «è ancora tutto in alto mare». E «non esiste alla stato delle cose una proposta del governo sul tavolo». Né, ad ogni modo, ci si preoccupa che l’orologio continui a girare e che l’ora x stia per arrivare.

Nel frattempo, come dicevamo, le province continuano a esistere e a erogare servizi, che vanno dagli stipendi dei dipendenti alle bollette delle scuole, alla manutenzione delle strade, ai servizi sociali. Servizi che da settembre (molto probabilmente) non potranno più continuare a garantire. Il motivo è presto detto. A causa dei tagli voluti dal governo Monti, e, sopratutto, dai tagli previsti dalla recente finanziaria del governo regionale, i commissari degli enti intermedi si sono ritrovati in un solo colpo con 150 milioni di euro in meno, di cui 40 milioni di tagli previsti dal fondo regionale delle autonomie, cui si aggiungono altri 100 milioni di euro in meno frutto dei tagli dei trasferimenti statali. «E con questi tagli – spiega Giovanni Avanti a Linkiesta – le province non riusciranno a chiudere i bilanci, e far ripartire le scuole a settembre».

Addirittura le province più piccole, ci riferiamo a quelle di Caltanissetta, Enna e Siracusa, starebbero avendo difficoltà a pagare gli stipendi di luglio. E se lo scenario dovesse restare il seguente, i commissari saranno costretti ad avviare il dissesto degli enti. «Le scuole provinciali rischiano di non riaprire a settembre, con grave pregiudizio per l’occupazione e per il diritto allo studio», tuona la Cgil. Per il sindacato guidato da Susanna Camusso, «i vincoli di spesa non possono mettere in discussione diritti fondamentali come quello allo studio».

Ma il governatore Crocetta, al momento, ha accantonato il nodo province. Non è al centro del dibattito. Lui, “Saro”, rincorre i titoli di giornali, vuole sempre stupire. E dopo il dietrofront sul Muos, dove aveva promesso ai cittadini di Niscemi che il sistema satellitare americano non ci sarebbe mai stato, è in forte difficoltà in virtù dell’aumento dell’addizionale regionale Irpef, e per le pressioni della maggioranza di governo che lo sostiene che gli chiede di cambiare passo, e di passare «dagli annunci ai fatti». Altrimenti, per dirla con Pietrangelo Buttafuoco, il “Vantone” resterà tale, e continuerà soltanto a sfogarsi. Punto.

Twitter: @GiuseppeFalci

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