La stanza è illuminata male. Non è neanche una vera stanza, è un vano ricavato da un garage. Nicolino Pompa, 70 anni, si siede alla scrivania, accende una lampada e comincia a scorrere gli annunci di Porta Portese (il giornale di inserzioni più diffuso di Roma), categoria per categoria. Ne sceglie uno, legge il numero e manda un sms. Presto il suo telefonino comincia a squillare. Un messaggio: “Ciao poeta misterioso ricevo i tuoi scritti che in alcuni momenti della giornata mi danno la forza…”. Nicolino lo annota in un file Word, dove archivia le sue conversazioni.
Su Porta Portese, Nicolino non cerca né offre lavoro. Cerca donne. Giovani ragioniere, segretarie, commesse. A loro invia messaggi d’amore. Lo fa da anni. Ma non è uno stalker. Non molesta né non s’intromette a forza nelle vite altrui. Ha avuto un migliaio di relazioni telefoniche. Tutte nate così, da un annuncio e un sms. Tutte rigorosamente virtuali. La storia di Nicolino è raccontata in SMS – Save My Soul, documentario del regista Piergiorgio Curzi. In appena un’ora di durata, dimostra come si possa fare dell’ottimo cinema con pochissima spesa. Basta avere uno sguardo onesto su ciò che si riprende. Senza intenzioni moralistiche, ma con la capacità di spiazzare in profondità gli spettatori – quei pochi che il film ha (per ora) raggiunto: andati a vuoto i contatti con alcune tv, circola solo nei festival. «Chi l’ha selezionato ci ha creduto tantissimo», dice Curzi. L’ultimo è stato il Mix di Milano, in “Extramix”, la sezione con le proposte più inaspettate.
Curzi ha incontrato Nicolino per la prima volta in un locale di Trastevere. Si esibiva in un contest di poesia. «Aveva una qualità e un carisma superiore a quello degli altri», ricorda il regista. È iniziata un’amicizia. Quando è andato a trovarlo a casa ad Ariccia, poco fuori Roma, ha scoperto la storia degli sms. Quasi per caso, chiacchierando davanti al lago di Nemi. «Li chiamava esche d’amore». Da lì è partita l’idea di quello che Curzi, con un termine alla Zavattini, chiama «il pedinamento», fatto di ore e ore di girato.
Si scopre così che messaggini e telefonate vanno avanti dalla mattina alla sera. Di tutto il resto a Nicolino importa poco, per lui la realtà sconfina quasi sempre nel banale. «È convinto di essere d’aiuto agli altri, così. Di amare le donne dominando il desiderio. Ci crede, nella risposta tenera che gli danno. Lo fanno sentire salvo». Molte si ritraggono ma c’è chi continua a rispondere al «poeta e satiro devoto alla bellezza, grato all’intelligenza» (autodefinizione).
Cedono a una seduzione furbetta, basata su frasi fatte messe in rima baciata. «La tenerezza non sbaglia mai indirizzo». «Lontano dalla tua carne, cuore, mente, anche se mi menti lo fai adorabilmente». Un mare di solitudine passa da un capo all’altro del telefono, la volgarità non è esclusa, il turbamento emotivo nemmeno, ma s’instaura un rapporto di complicità tale da non escludere neanche il sesso – virtuale anch’esso.
La prima storia – quando era più «porcone»: ora si sente diverso – è stata con una diciassettenne, vicenda «meravigliosa e patibolare», in un alternarsi di rispetto e degradazione. È andata avanti a lungo. «Lei si sente ed è una mia creatura». Lo afferma convinto. Non mancano neanche le minacce di fidanzati e mariti. A Nicolino non fanno effetto. Prega però che le donne non lo trattino male. Una gli scrive che deve finire. Lui va a rileggere sul pc gli sms precedenti: «L’eco tuo viene a me, il mare rivive nel mio sognare…», scriveva lei. «E me’ cojoni, te devo lascia’ a ’sto punto? Ma non ti lascerò mai…».
Per raccontare Nicolino da vicino, il regista si è trasferito da lui per due settimane. L’intera casa non è che un garage riadattato. Ma, specie di notte, andava filmata quasi come un museo. Raccoglie affetti e ricordi, «lui è un tipo un po’ maniacale, conserva tutto». L’abitazione gli assomiglia. Trasandata, arredata con materiali di risulta, piena di roba vecchia. Eppure dal disordine può spuntare qualcosa di prezioso (come i libri, ben ordinati sugli scaffali). Non fa dimenticare lo squallore, ma lo rende in qualche modo incongruo e, per questo, più crudele. Chi la abita, anche se vive ai margini della società, vuole dimostrare di non aver rinunciato a una dimensione più alta. Gli studi di Nicolino sono stati irregolari, ma ha imparato latino e greco antico da autodidatta, «con un approccio che non ha seguito né la cultura dominante né quella antagonista», rimarca Curzi. E compone poesie e canzoni (le sentite nel film). Ma i conti non tornano comunque.
A farli saltare c’è il rapporto tra Nicolino e i figli. Non a caso, le scene con loro sono quasi sempre filmate tra quelle mura, il labirinto dove sono conservate le memorie del passato. «È stato difficile», riconosce il regista. «Spesso mi sono sentito un intruso, ero quasi intenzionato ad abbandonare. Ma ho voluto affrontare il disagio». Nel rapporto tra Nicolino e i figli si intuiscono violenze e contraddizioni. Alla figlia costretta a letto in una clinica psichiatrica, il padre spiega che l’amore senza possesso è la cosa più bella che ci sia, «l’avere è un grande, terribile equivoco».
È un concetto che Nicolino ha applicato alla famiglia, molto prima di scoprire gli sms, con conseguenze che si sono rivelate dolorosissime. Una sofferenza che Nicolino non può ignorare. «Tutti vogliono farsi una famiglia, salvo poi capire che è piena di spine», dice a una delle amanti trovate su Porta Portese. L’esperienza familiare ormai è alle spalle, e lui non ha intenzione di aprire la porta della memoria. Quando lo fa, sfogliando vecchie fotografie, crolla. A comprimere il passato, dando senso al presente, ci pensano gli sms.
Adesso, Nicolino mantiene circa 150 relazioni virtuali. Dal cercare avventure, è arrivato quello che chiama «godimento puro del comunicare», per lui unica forma d’amore senza patologia. Gli interessa solo il grazie di risposta, il resto sarebbe routine da buona educazione, il vuoto della vita reale che tanto lo annoia. Vale talmente poco la realtà, ai suoi occhi, che ha accettato il farsi riprendere in casa come una esibizione giocosa, facilitando il compito del regista. «Mi sono messo a nudo per te», gli ha detto, mentre Curzi cominciava a sentirsi un po’ come un suo figlio. Nudo è Nicolino, e denudato oltre l’immaginabile può essere l’affetto al tempo della messaggistica istantanea.