«Il suo film è così tremendo che abbiamo deciso di metterlo in cassetto e dimenticarlo lì». Una frase così terribile, detta da un produttore a un giovanotto che ha appena chiuso il suo film, è un metodo quasi infallibile per stroncare per sempre una carriera. Segnò invece la definitiva affermazione di tal Alfred Hitchcock, che in quel 1926 riuscì a non far morire nel cassetto il suo “The Lodger” (Il pensionante), ottenendo un successo strepitoso. Era il primo film davvero hitchcockiano del maestro inglese, scritto a partire da un romanzo ispirato al caso di Jack Lo Squartatore. E conteneva già molto del suo cinema successivo: la centralità delle bionde, affittacamere inquietanti, l’uso degli attori in ruoli che disattendono le aspettative, il cameo del regista in una scena (suo marchio di fabbrica, nato con questa pellicola perché era a corto di comparse).
“The Lodger” è uno dei suoi nove film muti finalmente restaurati e presentati nel festival del Cinema Ritrovato di Bologna (http://www.cinetecadibologna.it/cinemaritrovato2013), organizzato dalla gloriosa Cineteca cittadina e giunto alla sua edizione numero 27. Vero paradiso della cinefilia, perché attraversa il cinema in lungo e largo nelle sue epoche, i suoi generi, le sue tematiche, mischiando antichissimo (fino dietro ai primordi del cinema, opportunamente rimessi in forma nel laboratori chimici) e contemporaneità (le lezioni di cinema con grandi autori d’oggi: quest’anno Alexander Payne http://www.cinefiliaritrovata.it/lezione-di-cinema-alexander-payne-dialo…). Nel segno dell’unico grande corso della settima arte.
Nell’anno in cui si assiste alla fine della pellicola, in luoghi e occasioni come questa sotto le due Torri si esalta il lavoro di recupero delle strisce di celluloide su cui è stato impressionato molto dell’immaginario del Novecento. Abbiamo scelto di partire con Hitchcock, ma avremmo potuto farlo con l’altro grande inglese a Hollywood, Charlie Chaplin, di cui vengono presentate le comiche realizzate per la Mutual Film. O forse con la rassegna dei primi film sonori del cinema giapponese, realizzati negli Anni Trenta.
Le piste offerte dal festival sono innumerevoli: si diramano dai film di un secolo fa, 1913 (quando per esempio il regista svedese Victor Sjöström – mitico protagonista del “Posto delle fragole” di Bergman – realizza il suo primo capolavoro, “Ingeborg Holm”), dal Vittorio De Sica pre-neorealista, sospeso tra il divismo da attore esercitato soprattutto nei film di Camerini e le prime prove dietro la macchina da presa, o dall’omaggio a Burt Lancaster a cent’anni dalla nascita. Passando per il restauro di un film cardine del Novecento, uno dei titoli più celebri di sempre, “Hiroshima mon amour”, di Alais Resnais, 1959.
O per Allan Dawn, “the noble primitive”, grande avventuriero fra i generi, in una carriera iniziata nel 1911 e chiusa nel ’61 attraverso 400 film (ma c’è chi parla di 1400!). E magari si può cogliere l’occasione per godersi in cinemascope “La grande guerra”, uno dei capolavori del nostro cinema a firma Monicelli, che il due volte premio Oscar per la sceneggiatura (“Sideways – In viaggio con Jack” e “Paradiso amaro”) Payne ha messo in testa alle proprie visioni bolognesi (Chaplin e cinema nipponico le sue preferenze, a quanto pare) perché, ha confessato, non lo ha ancora mai visto: “grande cultura grandi lacune”, come usa dirsi, vale anche per uno dei migliori autori indipendenti americani.
In questa sterminata varietà compressa in una settimana (si chiude il 6 luglio) fa particolarmente piacere l’omaggio a uno dei pilastri del cinema francese, Chris Marker, a un anno dalla scomparsa avvenuta a 91 anni nel luglio scorso. Con lui il cinema si è spinto in territori di totale, inedita sperimentazione, applicandosi soprattutto al documentario: saggi, film ritratto, ricerca antropologica, cinéma verité, diari di viaggio, fantascienza, agitprop, racconto bellico. Del tutto estraneo alla macchina spettacolare e mondana, animato da un forte senso etico del proprio lavoro tanto da firmare le proprie opere col nome acquisito durante la resistenza partigiana, ha costruito sul suo (non) esserci quasi una leggenda.
Il Cinema Ritrovato offre una rassegna dei primi film di Marker, la cui produzione è intensa e dilatata nel tempo, essendo iniziata nei primi anni Cinquanta e proseguita fino al 2004. Da citare il notevolissimo racconto su Israele “Description d’un combat”, quella sinfonia imponente e dedicata a Parigi e ai parigini che è “Le joli mai”, con la voce over di Yves Montand che racconta il maggio del ’62, prima “primavera di pace” dopo la fine della guerra in Algeria e in qualche modo incubatore di quello che sarà il ben più noto maggio sessantottino; e ancora “Lettre de Sibérie”, e infine naturalmente “La Jetée”, il suo film più famoso, sempre indicato nella classifica dei più grandi film della storia del cinema: 28 minuti di un incredibile thriller metafisico ambientato nel futuro, composto di fermi immagine che dipingono una Parigi ridotta in rovine.
Una straordinaria riflessione sul Tempo, resa grazie a una voce narrante meravigliosa – vero timbro caratteristico del cinema di Marker – lirica e filosofica, recuperata per certi versi da Terrence Malick. E infatti l’accoppiamento più grandioso – martedì 2 – è la proiezione gratuita in Piazza Maggiore della “Jetée” con a seguire l’esordio del regista texano, “La rabbia giovane”, restaurato a quarant’anni dall’uscita. Che formidabile accoppiata.