Ue, la “flessibilità” sui conti è a rischio bufala

Letta aveva esultato su Twitter

Enrico Letta ha esultato via Twitter

Ce l’abbiamo fatta!CommissioneUe annuncia ora ok a più flessibilità x prossimi bilanci x paesi come Italia con conti in ordine.#serietàpaga

— Enrico Letta (@EnricoLetta) July 3, 2013

La Commissione Europea, per bocca del suo presidente José Manuel Barroso, in un comunicato a dire il vero piuttosto scarno, ha in effetti annunciato che Bruxelles permetterà «deviazioni temporanea del cammino del deficit strutturale (quello al netto di fattori ciclici e una tantum ndr) verso gli obiettivi di medio termine, caso per caso». Entro giovedì partiranno lettere di dettagli ai ministeri delle Finanze degli stati membri. Per l’Italia, in realtà, sono solo brutte notizie, con margini di manovra vicini allo zero.

Gli esperti e gli osservatori che seguono la vicenda, in effetti, si stropicciano gli occhi e si chiedono sconsolati: ma dov’è la novità? La possibilità di deviazioni temporanea dall’obiettivo di medio termine (per l’Italia il pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2014) è già presente nel Patto di stabilità riformato da Six Pack e Two Pack per paesi fuori procedura, e per ragioni particolari (come la recessione). E’ scritto a chiare lettere. E infatti sia Barroso, sia Marco Buti, il potente direttore della direzione generale Affari economici e monetari (quella guidata dal commissario Olli Rehn), hanno chiarito: resta granitica la soglia del deficit nominale al 3% del pil, altrimenti riparte la procedura per disavanzo eccessivo. Quanto alla golden rule sognata da Letta – la possibilità di scorporare investimenti «produttivi» (o almeno la quota di cofinanziamento nazionale dei progetti finanziati con fondi strutturali Ue) – siamo a quella che una fonte Ue definisce «pietra tombale». Altro che scorporo.

In seno alla Commissione Europea nelle ultime settimane si è assistita a una feroce lite, con i servizi di Rehn che andavano progressivamente “smosciando” – in vista della proposta formale – le possibilità di scorporo (si era partiti da ampie parti della quota nazionale di cofinanziamento) fino ad arrivare all’eliminazione totale, con ira di altri commissari (soprattutto Antonio Tajani per l’Industria, Laszlo Andor per il Lavoro e Johannes Hahn per le Politiche regionali). Complice il secco njet di Berlino a qualsiasi scorporo considerato «trucco contabile». Gira voce che Barroso l’abbia detto a chiare lettere, in privato, a Letta, offrendogli una foglia di fico da potersi poi «rivendere» politicamente spacciandola per nuovi margini di flessibilità.

In sostanza, l’unica flessibilità – per chi è fuori procedura per disavanzo eccessivo, come nel caso italiano – consiste nella possibilità di fare un po’ più deficit del previsto, purché il disavanzo nominale resti sotto il 3% del Pil. Insomma, se l’Italia l’anno prossimo invece del previsto 2,5% farà il 2,9%, andrà bene, purché Bruxelles abbia dato il permesso. Un margine dello 0,5% del Pil, come dire circa 7-8 miliardi di euro. Meglio di niente, certo, ma questo era già così con le vecchie regole.

L’unica novità, fanno notare addetti ai lavori a Bruxelles, è semmai nel fatto che la Commissione adesso precisa – e limita fortemente – i campi in cui si potrà giocare questo margine, in sostanza investimenti legati al cofinanziamento (che non viene più scorporato), ai fondi di sviluppo regionale, o alle grandi reti infrastrutturali Ten (già approvati da Bruxelles). Non basta. La Commissione ricorda che non ci sono deroghe per l’obbligo di riduzione di un ventesimo l’anno del debito pubblico eccedente il 60% del pil. L’Italia è al 130% del pil, oltre il doppio della soglia. Certo, il patto riformato prevede un periodo «transitorio» di tre anni, dopo la chiusura della procedura per disavanzo eccessivo, per prepararsi alla riduzione del debito. E visto che l’Italia ha un’eccedenza del 70%, spiegano a Bruxelles, «deve prepararsi per tempo». Perché se la riduzione del debito sarà insufficiente, scatta la procedura per debito eccessivo. Tradotto: i margini per l’Italia, anche nel 2014, saranno ridottissimi. La grande «flessibilità» sbandierata oggi a Roma e Bruxelles, è in sostanza, una cosa sola: una bufala.  

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