Bankitalia, la ragion di Stato su Mps costa cara

L’acquisizione di Antonveneta

Dietro a quel “Bankit sarà al vostro fianco” che Antonio Vigni, ex direttore generale del Monte dei Paschi, aveva appuntato sulla sua agenda, c’è dunque qualcosa in più di un “auspicio”, come l’aveva definito l’ex direttore generale di via Nazionale, Fabrizio Saccomanni – ora ministro dell’Economia – nel corso di un interrogatorio con i pm senesi. È lo stesso Vigni, secondo quanto riferisce oggi l’agenzia Ansa, a spiegare ai magistrati: «Ricordo che Draghi disse che sarebbero stati al nostro fianco» sull’acquisto di Antonveneta. Una frase pronunciata nel corso di un incontro a cui avrebbe partecipato l’allora numero uno di Palazzo Koch, avvenuto a fine 2007. «Ci raccomandammo con i vertici Mps di “fare per bene” l’acquisizione. Non sono in grado di dire perché Vigni segna nella sua agenda “Bankit sarà al vs. fianco”. Sicuramente abbiamo detto che Banca d’Italia li avrebbe seguiti e che li avrebbe indirizzati» è quanto invece ha dichiarato agli inquirenti Anna Maria Tarantola, attuale presidente Rai e allora a capo della vigilanza.

La domanda è sempre la stessa: la Banca d’Italia poteva non sapere? Perché non ha bloccato l’operazione, se aveva il sentore che sull’istituto padovano, pagato tre miliardi in più di quanto lo aveva acquistato il Banco Santander dagli olandesi di Abn Amro, non era stata condotta alcuna due diligence, e se non aveva i soldi per farlo? Colpa della convergenza politica bipartisan sull’operazione? Draghi, che ora siede ai piani alti di Eurotower, ha rivendicato che l’azione di vigilanza fu «corretta e veloce». Eppure, stando a Repubblica, la vigilanza era perfettamente a conoscenza del contratto con JP Morgan sul bond Fresh – e i 250 milioni di cedole pagati in quattro anni alla banca Usa – fin dal maggio 2008. 

Una situazione che richiama le ispezioni sulle posizioni in derivati condotte su Intesa Sanpaolo, Unicredit e la stessa Mps, sempre tra fine 2007 e inizio 2008. Ragion di Stato. Altrimenti non è chiaro come siano stati sottaciuti rilievi severi sul calcolo del valore di mercato dei derivati in portafoglio. Ad esempio, nel caso di Piazza Cordusio il tenore era il seguente:

«In un contesto in cui si sono diradate le trattazioni di mercato e hanno perso significatività i relativi prezzi, non sono state tempestivamente riviste, con particolare riguardo alla valorizzazione degli strumenti strutturati di credito, le linee guida – risalenti al febbraio 2007 – che disciplinano la valutazione degli investimenti. Solo il 5.2.2008 il Comitato Rischi ha, infatti, approvato una specifica Policy – che avrà effetto per il futuro – e ha ricevuto una presentazione sui criteri di valutazione applicati nel 2007. In conseguenza di ciò, i processi di verifica indipendente dei prezzi (IPV), affidati a ridotti nuclei di Risk Manager di distinte unità legali, hanno seguito presso le entità coinvolte (HVB, BA-CA, UCI Irlanda) percorsi non omogenei, basati su criteri poco formalizzati». 

Tradotto: la principale banca italiana per asset non sapeva quanto valevano i derivati che aveva in portafoglio. Quando, lo scorso 16 aprile, i pm Aldo Natalini e Giuseppe Grosso hanno varcato i cancelli di via Nazionale a Roma, una banchiere di lungo corso spiegò a Linkiesta: «L’obiettivo di Fazio era tagliare la marginalità di un istituto i cui servizi finanziari erano utilizzati da tutti gli italiani», osserva ancora il banchiere. E Fazio, che tra il 2002 e il 2003, stoppò l’acquisizione di Bnl proprio da parte di Mps, cambiò idea quando si trattò di Antonveneta. Nello spazio vuoto creatosi una volta uscito di scena Fazio, arrivato nella prima fase di crisi del modello “banca di sistema” à la Mediobanca, lo scambio tra Draghi e Mussari su Antonveneta fu: nessun rilievo sui derivati in cambio di adeguati requisiti di patrimonializzazione.

E dunque nessun problema se uno dei sei miliardi di aumento di capitale contestuale all’operazione Antonveneta sarebbe stato attraverso la sottoscrizione dei titoli convertibili Fresh da parte di JP Morgan. Ora che i nodi vengono al pettine e gli ex vertici della Fondazione Mps, principale azionista di Rocca Salimbeni, ammettono l’ovvio – erano i maggiorenti del Pd a decidere i nomi degli organi di governance – e che i politici di turno (Rutelli) si affrettano a smentire, la strategia dei pm senesi potrebbe puntare dritto sull’unico serbatoio di classe dirigente rimasto nel Paese. Nel frattempo gli italiani hanno già sborsato 4 miliardi di euro, e probabilmente nel prossimo futuro diventeranno azionisti di minoranza di Mps, qualora l’isitituto non generasse abbastanza utili da rimborsarne gli interessi. È questo il prezzo della ragion di Stato. 

Twitter: @antoniovanuzzo

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