Quasi cinque ore, chiusi ad Arcore, il grande capo e i suoi generali, gli amici Gianni Letta e Fedele Confalonieri, i falchi e le colombe, Bondi e Verdini, Santanché e Alfano, tutti attorno allo stesso tavolo. E’ senza fine la ricerca del lieto fine per Silvio Berlusconi, un inseguimento tormentoso e privo di soluzione, un groviglio di ipotesi, di strettoie senza sbocco, di complesse escogitazioni, alchimie, formule che si attorcigliano dolorosamente e non lasciano scampo. Un giorno è la grazia, l’altro l’amnistia, poi qualcuno all’improvviso scopre l’arma segreta, la stessa di cui Hitler doveva essersi persuaso nel buio del suo bunker di Berlino, ed è la revisione costituzionale della legge Severino sull’ineleggibilità.
Fosse facile. Ciascuno dei cortigiani del berlusconismo, avvocati, deputati, ministri, senatori, coordinatori, capigruppo, a turno porta in dono al sovrano di Arcore la sua soluzione, che è sempre più improbabile, complicata, involuta anche alle orecchie interessate del Cavaliere. Dunque Gaetano Quagliariello e Maurizio Lupi dicono che si può cercare di rinviare il voto in Senato sulla decadenza, che, sì, insomma, si può perdere tempo per guadagnare tempo. Ma il Pd non ci sta, non ci starebbe mai, mentre anche Gianni Letta percorre il viale del Quirinale scuotendo la testa. L’uomo delle mediazioni impossibili tesse la sua cauta tela di gran diplomatico per agguantare il miraggio d’una soluzione, l’happy end che tuttavia lui stesso sa bene non essere alla portata di nessuno degli attori sul proscenio politico d’Italia, nemmeno del presidente della Repubblica, quel Giorgio Napolitano che pure, nei suoi colloqui privati, una cosa l’ha detta chiara al gran visir del berlusconismo: «non minacciate il governo», «non tirate la corda», «col muso duro non otterrete niente». Nessuno più del capo dello stato sa infatti che il lieto fine non lo si conquista con l’arma del ricatto, con la pressione impropria; il lieto fine non può essere una prepotenza. Non è stato certo Don Rodrigo a celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. E insomma, se imposto, il lieto fine si trasfigura, diventa il suo contrario, una triste fine.
Poi c’è Marco Pannella che offre al Cavaliere lo strumento dell’amnistia, porta in dono i suoi referendum sulla giustizia giusta, quei quesiti che sono densi di buon senso e di civiltà, ma che agli occhi del Partito democratico prefigurano pure la prima amnistia ad personam della storia mondiale, un controsenso giuridico, un peso politico insostenibile per il Pd, un ossimoro che non sfugge nemmeno a Berlusconi. Il vecchio leader populista, l’impresario televisivo, è pur sempre l’uomo che portò il cabaret in prima serata sulle sue reti tv, e dunque oggi intuisce meglio di molti altri il rischio del paradosso insito nell’immagine di un’amnistia ad personam, quel sentimento del contrario che secondo Pirandello altro non è che l’origine stessa dell’umorismo, della comicità: «Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere». Un po’ come sarebbe un’amnistia promossa al fine di salvare un uomo solo, un paradosso, comico e grottesco. E difatti, quando Berlusconi legge sui giornali che Pannella si starebbe facendo utilizzare da lui, ecco, il Cavaliere allora sorride con quel suo famoso sorriso ribaldo e canzonatorio, «ma è ovviamente il contrario», dice, «sull’amnistia è Pannella che vuole utilizzarmi». E d’altra parte il Cavaliere sa che tutti coloro i quali hanno pensato di poter trasformare Pannella in un utile idiota sono rimasti con un palmo di naso, messi nel sacco dal leader Radicale. Ed è per questo che in fondo nemmeno Berlusconi ci crede a questa storia dell’amnistia, circondato com’è da un partito, il suo Pdl, che neanche troppo tempo fa si era battuto contro l’indulto, il provvedimento di clemenza voluto dal governo di Romano Prodi.
Nemmeno il gran consiglio di Arcore, questa sera, ha sciolto i dubbi, dissipato le incognite, sollevato gli animi. Come avrebbe potuto? E’ stata una celebrazione del grande capo, ma non la riunione del destino, nessuna risoluzione definitiva, niente scelte irrevocabili, i generali del Pdl si sono addentrati nel labirinto di specchi e tormenti nel quale il Cavaliere ormai li obbliga a brancolare da settimane, come nella canzone di Gino Paoli, “tu trascini la nostra vita/senza un attimo di respiro”. E oggi è toccato confessarlo ad Angelino Alfano, «la decadenza di Berlusconi e impensabile e inaccettabile», ha detto il segretario del Pdl rivelando uno strano senso di smarrimento. Perché oggi, come ieri, per il Pdl la decadenza del Cavaliere è impensabile, inaccettabile, ma forse pure inevitabile. Così, riuniti attorno al grande tavolo ovale di Villa San Martino, Berlusconi e la sua corte hanno soltanto maturato, pur tra mille ipotesi di manovra, e senza confessarlo nemmeno a sé stessi, la certezza che non esista alcuna soluzione salvifica, nessuna conclusione gioiosa, nessuna arma segreta e vincente. Ciascuno dei presenti, i falchi Santanché e le colombe Alfano, i diplomatici Letta e gli amici Confalonieri, nel lasciare la casa del Cavaliere questa sera, deve essere stato attraversato da un moto di impotente fatalismo. Nessuna delle tante ipotesi discusse è quella davvero risolutiva: si può solo prendere tempo, denunciare ancora il complotto giudiziario, ricorrere di fronte al Tar e di fronte alla Corte costituzionale, agitare un conflitto tanto rumoroso quanto inconcludente, e intanto lasciare che il governo Letta completi la sua opera per poi andare al voto. Al più presto. Ma senza lieto fine, senza pacificazione, senza Berlusconi. «Alle prossime elezioni c’è Marina. Adesso smentisce, ma è pretattica. Credetemi», ha insinuato oggi Luigi Bisignani, l’uomo che sussurrava ai potenti.
LEGGI LA CRONACA DEL VERTICE PDL DI ARCORE E LE PAROLE DI ALFANO
La decadenza di Silvio Berlusconi «dalla carica di senatore è impensabile e costituzionalmente inaccettabile». Sono le parole di un comunicato del vicepremier Angelino Alfano dopo il vertice di quattro ore del Pdl ad Arcore.
Il mega-vertice è stato voluto da Silvio Berlusconi. A villa San Martino il Cavaliere ha riunito tutto lo stato maggiore del Pdl, compresi i ministri del governo Letta, per confrontarsi sulla strategia in vista della riunione del 9 settembre della Giunta del Senato chiamata a decidere sulla decadenza del Cavaliere dalla carica di senatore.
Obiettivo del summit era quello di determinare la linea del centrodestra sulla permanenza nella maggioranza. Al tremine del vertice, intorno alle 18,30, non c’è stata nessuna dichiarazione ai giornalisti che attendevano davanti a villa San Martino. Unica dichiarazione quella di Alfano, tramite un comunicato stampa, in cui il Pdl annuncia la linea dura: «Il Popolo della libertà è sempre unito. Tutti insieme ci rivolgeremo alle massime istituzioni della Repubblica, al primo ministro Letta e ai partiti che compongono la maggioranza, parole chiare sia sulla questione democratica che deve essere affrontata per garantire il diritto alla piena rappresentanza politica e istituzionale dei milioni di elettori che hanno scelto Silvio Berlusconi, sia sul necessario rispetto degli impegni programmatici assunti dal Governo a partire dall’abolizione dell’Imu su prima casa e agricoltura».
Nel comunicato c’è anche un passaggio su un altro tema “caldo”», quello dell’Imu. Alfano sottolinea il «necessario rispetto degli impegni programmatici assunti dal Governo a partire dall’abolizione dell’Imu su prima casa e agricoltura». «Non c’è più tempo per rinvii e dilazioni».