Berlusconi o no, perché non è tabù parlare di amnistia

Cancellieri: “Sistema da riformare”

In questo momento vivono nelle nostre prigioni 28mila detenuti in stato di carcerazione preventiva  circa il 42% del totale della popolazione carceraria e di questi il 26% è di origini straniere. Per essere precisi a fine settembre 2011 dei 67.428 detenuti 28.564 risultavano non condannati in via definitiva. Più della metà (14.639) erano ancora in attesa del giudizio di primo grado. La maggior parte di queste persone (più o meno 20mila) è rimasta dietro le sbarre per tre giorni, pronta purtroppo a lasciare spazio ad altre che ci rimarranno per lo stesso lasso di tempo. Altre hanno atteso tre mesi prima di uscire, la minoranza molto più tempo. E di quei circa 28mila detenuti secondo la Corte di Strasburgo circa 5mila saranno dichiarati innocenti.

Eppure, gli italiani sanno che la carcerazione preventiva si basa su tre pilastri. Primo, il pericolo concreto di reiterare il reato. Secondo, la possibilità reale che vengano occultate le prove. Terzo, reale probabilità di fuga. Non dovrebbero esserci altri motivi. E sulla carta è così. Ma i numeri disegnano qualcosa di diverso. Se oltre 20mila persone finiscono dietro le sbarre per circa tre giorni è difficile immaginare che in sole 72 ore venga meno il pericolo di fuga o la possibilità di reiterare il reato. In realtà, come anche alcuni magistrati hanno ammesso, le manette si rendono necessarie perché il sistema giudiziale non riesce a fornire o gestire alternative valide (interdizioni, domiciliari o obblighi di varia natura) e in altri casi i processi sono così lunghi che la misura preventiva diventa un limbo dove giacere.

Non è un caso chela Corte di Strasburgo abbia avviato (su input del denunciante) oltre 2100 azioni contro lo Stato italiano, lo stesso che compare in cima alle classifiche negative del sovraffollamento e dei risarcimenti agli innocenti. Le prigioni tricolore sono piene al 153%. Canton Mombello, a Brescia, è stata presa ad esempio dall’Europa come peggior situazione carceraria. Su 206 posti letti ci sono 454 persone, di cui solo 64 giudicate. In Europa, ad avere una percentuale di pre-trial detainees – così si definiscono – superiore alla nostra c’è solo il Lussemburgo, con un 47% sul totale dei carcerati. Ma a differenza dell’Italia il mini Stato non prevede tempi massimi per la carcerazione preventiva e sui 300 detenuti in attesa di giudizio (anno 2010) ne deve gestire circa 250 stranieri. Con tutto ciò che comporta: dai tempi più lunghi delle rogatorie, alle ulteriori lentezze burocratiche.

Nessuna giustificazione comunque, visto che la media europea dei pre-trial è del 24% e che in Grecia – dove la percentuale degli stranieri è alta – la quota non supera il 28%. Per non parlare della Polonia, dove si scende al 10, in Lituania al 14 e in Uk al 20. Tenendo presente che l’Irlanda del Nord da sola sballa la media con un 36% di carcerazione preventiva.

D’altronde, analizzando la questione in generale, percentuali così alte si trovano per lo più in due tipi di Paesi. Quelli in emergenza di fronte a eventi sociali fuori dalla norma (terrorismo o altro) oppure nei regimi non democratici. Il Mali ha una percentuale di pre-trial superiore all’88% del totale (dati del 2008). La Liberia è arrivata al 97 e la Nigeria da anni si attesta sul 60/65%. In Sudamerica, la Bolivia viaggia sul 75% e il Venezuela si piazza più in basso con un 48,5%. In fondo solo 5 punti più dell’Italia. Quindi, viene da chiedersi, in quale delle due categorie rientra il Bel paese? Emergenza o dittatura? Probabilmente nessuna delle due. L’Italia fa categoria a sé: quella dell’agonia. Ecco perché sarebbe il caso di cominciare a ragionare concretamente sulle proposte del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri.  

Da tempo il ministro Cancellieri parla di amnistia (estinzione del reato e della pena per alcune fattispecie) come primo passo per una riforma della giustizia che trasformi il carcere da un punto di vista culturale. Esattamente come ci chiede di fare l’Europa, tornando a rispettare quanto scritto nella Costituzione. «Per la politica è un momento delicato, capisco che è difficile mettere in cantiere una riforma vera della giustizia oggi. Ma ha ragione il presidente Napolitano: abbiamo il dovere di provarci», ha detto la Cancellieri in un’intervista a IlSussidiario.net.

Per la Guardasigilli due sarebbero i punti chiave della riforma: «La certezza dei tempi della giustizia e la certezza della pena. Con queste due certezze i cittadini forse comincerebbero a ritrovare più fiducia nella giustizia». Approvato il decreto che banalmente è stato chiamato Svuota Carceri, la Cancellieri ha tenuto a precisare che: «Agiremo su diversi fronti per rispondere alla Corte europea dei diritti dell’uomo: sull’applicazione del regolamento penitenziario che è illuminato ma non viene applicato in tutte le carceri, faremo nuove norme di depenalizzazione, ricorreremo ancora di più alle misure alternative e stiamo anche procedendo sul fronte della riorganizzazione delle carceri e sulla costruzione di nuovi padiglioni, ad esempio siamo assolutamente carenti sui luoghi comuni, come le mense, molti detenuti mangiano in cella».

Ma questo non basta. Serve probabilmente fare tabula rasa e ripartire. Dal palco del meeting di Rimini il ministro, come sua abitudine, non ha usato giri di parole. «La mia opinione personale è favorevole all’amnistia oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario. Ma è un provvedimento che tocca al Parlamento: mi rimetto alle scelte della politica». E qui si apre la voragine.

Come affronterebbe la questione la politica? Una parte vedrebbe l’amnistia come favore a Berlusconi e quindi direbbe no. Un’altra parte vedrebbe l’amnistia come favore a Berlusconi e quindi direbbe sì. Esiste una terza parte? Forse.
E questo ci preoccupa altrettanto, anche se per altri motivi. La parte che lotta per il femminicidio e per i reati di omofobia, per fare due esempi recenti. Non vogliamo entrare nel merito delle due discriminanti. Non ci interessa qui ragionare se sia necessario istituire un articolo del codice dedicato a chi commette omicidio spinto da motivazioni di identità di genere, ma ci interessa la filosofia sottostante, ossia la necessità di estendere ulteriormente la carcerazione preventiva. A rischio finirebbero i diritti di coloro che vanno in carcere prima di essere giudicati.

Certa politica deve inventare nuove caselle di colpevolezza e categorie da difendere. Il che significherebbe, senza ammetterlo apertamente, che il sistema giudiziale attuale è un fallimento. E che non è nemmeno pensabile puntare sulla prevenzione e la cultura. L’omofobia prima che essere un reato è pesante ritardo mentale e come tale andrebbe trattato. Chi punta su nuovi reati senza una riforma rinuncia a far rispettare equamente quelli che già esistono. Forse la Cancellieri andrà avanti nella sua battaglia per l’amnistia e una riforma radicale del sistema. Ma dovrà, paradossalmente, guardarsi ancor di più dall’ostilità di questa terza parte politica iper-ideologica piuttosto che dai due schieramenti pro e contro Berlusconi.

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